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69 Festival di Berlino: Out Stealing Horses di Petter Moland, il cinema scandivano in concorso con un mèlo tra elegia del passato e malinconia del presente

Tra romanzo di formazione ed elegia della vecchiaia, il cinema scandinavo partecipa al concorso del 69 Festival di Berlino con un mèlo storico a tratti dal sapore malickiano. Out Stealing Horses di Petter Moland è un dramma storico-familiare che attraversa il tempo e i confini geografici

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Il cinema nordico ci ha abituato negli ultimi anni a percorrere strade diverse per contenuti delle storie e stile della messa in scena. Il regista norvegese Hand Petter Moland, con una consistente filmografia alle spalle, presenta in concorso al 69 Festival di Berlino il suo ultimo lavoro, Out Stealing Horses, un dramma storico-familiare che attraversa il tempo e i confini geografici. Siamo nel 1999 nella foresta norvegese, coperta dalla neve invernale. L’anziano Trond Sander (Stellan Skarsgard) si è rifugiato in un capanno dopo la morte della moglie in un incidente d’auto. Vissuto per oltre quarant’anni in Svezia, ritorna sui luoghi della sua adolescenza quando, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, da giovane viveva immerso nella natura con il padre.

Moland mette in scena un melodramma in cui s’intrecciano diverse storie: quella del padre con una donna del luogo, sposata con un altro uomo; quella di due fratelli gemelli, figli della donna, e dell’incidente con un fucile che li vede coinvolti, in cui uno dei due perderà la vita; quella della vita dei boscaioli durante l’abbattimento estivo degli alberi. Tanta carne al fuoco dal punto di vista narrativo, giocando sull’accumulazione delle svolte drammaturgiche in cui tutto è possibile e dove a volte si ha la sensazione che la materia così magmatica sfugga di mano. Anche la gestione del tempo attraverso il montaggio pecca di precisione e a volte sono presenti vistosi buchi di raccordo. Così la narrazione in flashback di Trond salta dal 1943, durante la guerra, al 1948, la parte più consistente, al 1956 e al 1999, in salti temporali continui, in cui, a volte, alcuni personaggi sembrano più vecchi negli anni passati rispetto a quelli più recenti, oppure appaiono sempre con la stessa età anagrafica.

Out Stealing Horses vuole essere, da un lato, un romanzo di formazione, con la messa in scena di un momento cruciale del giovane Trond, dal suo confronto con la giovane e forte figura paterna al primo innamoramento per una donna più grande di lui, alla competizione con il padre, nel momento che la donna è l’amante paterna; dall’altro lato, è un’elegia di un anziano alla fine della vita, solo dopo la morte dell’amata moglie, che ripercorre la propria esistenza e fa i conti con i suoi ricordi e i fantasmi del passato. Moland non riesce a mantenere in modo continuativo una tensione drammaturgica per tutta la lunga durata filmica, utilizzando spesso scorciatoie visive e sfruttando i salti temporali per ingannare la vista dello spettatore. Ma ci sono due aspetti che, in qualche modo, salvano il film di Moland. Il primo è l’interpretazione di Skarsgard, che dona una certa malinconia senile al proprio personaggio, riuscendo a comunicare più con i silenzi e gli sguardi che con le parole. Il secondo sono le sequenze dove in primo piano c’è la natura selvaggia dei boschi della penisola scandinava, le riprese dei tagli degli alberi, il suono del vento tra gli steli d’erba, il movimento della natura, fotografati in modo iperrealistico, rasentando a volte un sentimento malickiano della messa in quadro del paesaggio che diventa così un personaggio vero e proprio.

Out Stealing Horses risulta essere un’opera piena di difetti, ma con alcuni pregi che fanno apprezzare un film che, però, non si capisce come possa essere stato considerato per un concorso in un festival come quello di Berlino.

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