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Film da Vedere

Salvatore Giuliano, ovvero il cinema di impegno civile di Francesco Rosi

Un classico del cinema politico. Francesco Rosi sceglie di frammentare la narrazione, seguendo non la cronologia ma i complessi intrecci di causa-effetto tra gli avvenimenti. Giuliano non si vede mai: non è lui il protagonista del film, ma il groviglio di interessi tra politica e criminalità nel dopoguerra. Serratissimo, con momenti di cinema cronachistico che diventa epico

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Salvatore Giuliano, un film del 1962 di Francesco Rosi. Il film è un’inchiesta sui fatti che hanno condotto alla morte del bandito siciliano Salvatore Giuliano, rinvenuto a Castelvetrano la mattina del 5 luglio 1950. Presentato in concorso al Festival di Berlino 1962, vinse l’Orso d’argento per il miglior regista nonché tre Nastri d’argento. Il film è stato selezionato tra i 100 film italiani da salvare. Le riprese si svolsero negli stessi luoghi dove erano avvenuti i fatti raccontati (Montelepre, Castelvetrano, Portella della Ginestra) e durante la lavorazione vennero impiegati soprattutto attori non professionisti presi tra la gente del luogo; tra gli altri, il bandito Giuliano venne interpretato dal tranviere palermitano Pietro Cammarata, che nel film compare sempre di spalle o in lontananza.  Nella stagione 1961-62 la pellicola incassò 737.084.000 lire dell’epoca, finendo al decimo posto della classifica dei film di maggior successo di quell’annata in Italia. Martin Scorsese lo ha inserito nella lista dei suoi dodici film preferiti di tutti i tempi. Con Frank Wolff, Salvo Randone, Federico Zardi, Pietro Cammarata. Soggetto e sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, Enzo Provenzale, Francesco Rosi, Franco Solinas; fotografia di Gianni Di Venanzo; montaggio di Mario Serandrei; musiche di Piero Piccioni; prodotto da Franco Cristaldi.

Sinossi
Salvatore Giuliano nel secondo dopoguerra forma un esercito separatista che vuole staccare la Sicilia dal resto dell’Italia. Tiene a lungo in scacco i carabinieri, semina il terrore sull’isola e si rende protagonista di molti fatti di sangue come la strage di Portella della Ginestra, quando spara sulla manifestazione dei lavoratori per la ricorrenza del primo maggio. Nel 1950 viene ucciso. Gaspare Pisciotta, ex-luogotenente di Giuliano, che lo ha denunciato, viene assassinato in carcere.

Salvatore Giuliano è quel che si dice un film seminale. La bussola del cinema civile, dell’inchiesta cinematografica, del film storico all’italiana, di tutto il cinema europeo, si potrebbe azzardare dire. Un film che è soprattutto l’affermazione più vigorosa di una certa concezione del cinema d’impegno fondato su un rinnovamento narrativo che forse non ha precedenti nella cinematografia nostrana e su uno sguardo autoriale a metà tra la cronaca e la storia. Un cinema che pone la sua visione al futuro, che si fa verbo immutabile se non universale per la sua mancanza di filtri interpretativi incomprensibili al pubblico in senso assoluto. Perciò Salvatore Giuliano è un classico: cova al suo interno l’idea fondamentale del cinema di Francesco Rosi, una sintesi di denuncia civile e politica alla stregua del giornalismo d’inchiesta e quasi da finto documentario e di dramma squisitamente cinematografico, con la tensione costantemente tenuta alta e il ritmo che mai perde un colpo. Il merito è soprattutto di Rosi, ma si può ben parlare di un cinema d’equipe, a cominciare dal coraggio produttivo di Franco Cristaldi, artefice del meglio della nostra produzione nazionale per quella particolarissima capacità di coniugare il grande spettacolo di gusto internazionale con le marche essenziali della tipicità italiana, legate fondamentalmente alla vocazione popolare della nostra migliore tradizione narrativa. E per marche della tipicità s’intende, per esempio, il miracolo di una sceneggiatura che unisce le volontà saggistiche specifiche dei film a tesi di Franco Solinas con l’esperienza romanzesca di Suso Cecchi D’Amico (autrice principalmente delle eccellenti sequenze del processo), in un montaggio non cronologico delle vicende del bandito Giuliano nel quale l’intervento di Rosi è essenzialmente funzionale a dare ampio respiro all’intero film (anche Enzo Provenzale ha collaborato allo script). E poi la musica incessante e mai invadente di Piero Piccioni, il montaggio coinvolgente ed appassionato di Mario Serandrei e soprattutto la direzione della fotografia del grandissimo Gianni Di Venanzo, immenso nel riuscire a rinunciare agli artifici di un’immagine altrimenti inevitabilmente finta per ragionare in funzione dell’ambiente e del contesto, in un equilibrio inimitabile di puro artigianato e creativa rivoluzione professionale (storiche le lampadine di voltaggio superiore sostituite ai lampioni delle strade di paese).

  • Anno: 1962
  • Durata: 107'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Francesco Rosi

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