Si diceva, a margine dell’intervista realizzata con Roberta Grossman, di come la necessità di scrivere la propria storia sia fisiologica di ogni comunità socialmente organizzata. Ciò non toglie che il caso verificatosi all’interno del Ghetto di Varsavia durante l’occupazione nazista rimanga ancora oggi più unico che raro. Successe infatti che, nell’orizzonte di esistenza segnata dallo spettro della cosiddetta soluzione finale, un gruppo di uomini, per lo più storici, giornalisti e ricercatori trovasse la forza e il coraggio di organizzarsi in un comitato segreto, denominato Oyneg Shabes, incaricato di collezionare testimonianze scritte sulla vita del Ghetto per sconfessare le imposture della propaganda nazista, attraverso la costruzione di un archivio che avrebbe dovuto – come poi è successo – sopravvivere alla scomparsa di chi se ne occupava. Una mole di materiale sufficiente a farci conoscere non solo la vita quotidiana di uomini, donne e bambini (le statistiche parlano di 450 mila ebrei) costellata di stenti e afflizioni causate, soprattutto, dalla costante mancanza di cibo ma, come dicevamo, a fornire una rappresentazione diversa da quella resa dagli occupanti, bisognosi di giustificare le proprie atrocità costruendo un’immagine distorta e negativa delle loro vittime.
Per parlarcene l’autrice costruisce una narrazione che alterna cinema e documentario, durante la quale le interviste e gli inserti di repertorio si intersecano con parti recitate da attori incaricati di far rivivere parole, pensieri e situazioni contenute nel libro dello storico Samuel Kassov, dal cui titolo il film prende il nome. Un po’ grazie all’accuratezza della ricostruzione ambientale, un po’ grazie alla verosimiglianza della messinscena e – perché no – per l’emozione suscitata dal tragico calvario dei protagonisti, non solo quelli di cui sappiamo il nome (su tutti il direttore del comitato e Rachel Auerbach, storica e giornalista, voci narranti della vicenda), ma soprattutto dell’anonima moltitudine di visi e corpi che scorrono davanti agli occhi, Chi scriverà la nostra storia è una forma di conoscenza totalizzante e immersiva che si fatica a dimenticare. Inutile dire che la sua visione è fortemente consigliata.