È stato generalmente stroncato dalla critica, in quanto utilizza in maniera massiccia, e forse abbastanza prevedibile, alcuni tipici stilemi del genere horror, senza aggiungere alcunché di particolarmente significativo. Ma, a parere dello scrivente, Slender Man offre degli spunti di riflessione non banali che, sebbene non siano veicolati da una rappresentazione particolarmente originale, meritano senz’altro attenzione. La premessa del film, soprattutto, è decisiva, laddove il celebre protagonista di racconti dell’orrore (creepypasta) e videogiochi, nato come fenomeno di Internet, e creato nel 2009 da Erik Knudsen, noto col nome d’arte di Victor Surge, per un concorso fotografico sul sito Something Awful, si è rivelato in grado di penetrare profondamente l’immaginario degli adolescenti, provocando degli effetti incisivi anche sulla realtà, grazie per lo più alla grande diffusione sul web con video in stile finto documentario in cui venivano addirittura ricostruiti eventi misteriosi legati alla natura de “L’uomo snello”. Quello creato da Knundsen, insomma, è un personaggio che, grazie al “general intellect” della rete, si è autonomizzato, acquisendo vita propria, fino ad arrivare a terrorizzare nella realtà i giovanissimi che in qualche modo sono venuti a contatto con esso.
Nel film, lo Slender Man viene evocato attraverso un video che infetta prima il computer e poi le menti di coloro che lo hanno veduto. Allora, al netto della efficacia della dimensione specificatamente horror, ciò che piace è l’accostamento che viene fatto tra i dispositivi tecnologici e i soggetti che li utilizzano. L’orrore non è, a rigore, quello provocato dall’uomo senza volto che rapisce, uccide, o provoca la pazzia, ma la diffusione di narrazioni inverosimili e pericolose che la rete consente a grandissime velocità. E, mutatis mutandis, quando dovremmo temere, molto di più certamente, le fake news, il tentativo di controllo dell’opinione pubblica o, peggio ancora, una deriva autoritaristica operata attraverso un continuo sabotaggio della corretta informazione?
Ad aggiungere valore al film concorre anche una non troppo velata dialettica tra forma e informe: lo Slender Man non ha volto, è un’entità mimetica, una presenza-assenza destinata a rimanere fuori campo. Evocandola, dunque, si forza l’invisibile a divenire visibile e ciò non può che provocare una rovinosa ricaduta idolatrica del prototipo. La proliferazione delle immagini in rete non solo non aggiunge alcunché di significativo, ma fa dileguare quella riserva di senso che non tollera di essere tradotta in una qualsivoglia rappresentazione, laddove è situata prima delle parole e della possibilità di essere congelata in una forma. La violazione di questo semplice e intuitivo principio ha come devastante effetto collaterale l’irruzione di un “resto non sussumibile” che fa implodere l’ordine simbolico in cui sono inseriti coloro – tutti noi – che si lasciano ammaliare fino in fondo dal fascino discreto delle immagini ad ogni costo.
Con la regia di Sylvain White, la direzione della fotografia di Luca Del Puppo, le scenografie di Jeremy Woodward, i costumi di Deborah Newhall e le musiche di Brandon Campbell e Ramin Djawadi, Slender Man è per i motivi addotti un film senz’altro interessante capace di provocare non poche riflessione nello spettatore. Distribuito da Sony Pictures, il film è disponibile in blu ray, in formato 2.39:1, con audio in italiano e originale (DTS-HD Master Audio) e sottotitoli opzionabili. Nei contenuti speciali è presente il dietro le quinte con il cast.