Solo una settimana fa, all’interno di questa rubrica dedicata all’universo dell’home video tricolore abbiamo avuto modo di parlare di In the name of the king, colossale produzione da sessanta milioni di dollari che, con Jason Statham nei panni di un semplice contadino del villaggio di Stonebridge all’inseguimento dell’esercito dei Krug, energumeni responsabili della morte del figlio e del rapimento della moglie, il prolifico cineasta tedesco Uwe Boll mise in piedi nel 2007 prendendo ispirazione dal videogioco Dungeon siege.
Un fantasy dal ricco cast spaziante da Burt Reynolds a Ray Liotta, passando per Ron”Hellboy” Perlman e John Rhys-Davies, che, giunto nelle sale cinematografiche italiane, ha poi generato due sequel a firma dello stesso Boll; dei quali, però, era fino ad oggi giunto nello stivale più famoso del globo – e direttamente nel mercato dei dvd – soltanto In the name of the king 3: L’ultima missione, datato 2014 e con il Dominic Purcell della serie televisiva Prison break nel ruolo di un killer professionista che finiva catapultato nel Medioevo ancestrale della Bulgaria.
Fino ad oggi, appunto, perché, corredato di trailer nella sezione riservata ai contenuti speciali, approda finalmente su disco digitale nel paese degli spaghetti anche In the name of the king 2: Two worlds, del 2011, distribuito da CG Entertainment (www.cgentertainment.it), in collaborazione con Minerva pictures.
Un secondo capitolo che, a dispetto di ciò che si potrebbe erroneamente pensare, non intende essere né una banale continuazione, né un immediato scimmiottamento di quel capostipite rientrante nel gettonatissimo sottogenere dei cineVgame e che fu subito chiaro venne messo in piedi al fine di cavalcare l’onda dell’enorme successo riscosso dalla trilogia jacksoniana de Il Signore degli Anelli.
Del resto, essendo sceso il budget a disposizione a quattro milioni e mezzo di dollari (ulteriormente abbassatosi a tre milioni e mezzo, poi, nel caso del citato capitolo successivo), l’autore del divertente Postal e della violenta trilogia Rampage è stato di sicuro costretto a fare di necessità virtù e, non potendosi più permettere un look da fanta-kolossal che potesse competere con i blockbuster hollywoodiani, concretizza comunque il proprio personale numero due abbracciando la filosofia del film di genere concepito a basso costo.
Un numero due che vede protagonista il Dolph Lundgren di Rocky IV e Creed II nel ruolo di Granger, ex militare canadese con problemi di alcolismo che facciamo in tempo a trovare impegnato ad insegnare le arti marziali ad alcuni ragazzini dell’odierna Vancouver, prima di finire attraverso una sorta di varco spazio-temporale in un’epoca dominata dalla stregoneria e in cui uomini e oggetti sembra possano racchiudere straordinarie capacità.
Un Medioevo di cui, appunto, fa parte anche una strega braccata da misteriosi individui; oltre ad un re alchimista dalle fattezze del Lochlyn Munro di Freddy vs. Jason e White chicks, il quale accoglie Granger come un profeta del futuro e ci porta progressivamente ad apprendere perché l’uomo sia considerato l’eroe prescelto per recuperare un catalizzatore che garantirebbe, a quanto pare, la pace nel mondo.
Un Medioevo rappresentato per lo più da boschi in cui far avvenire gli immancabili scontri corpo a corpo tra il biondo gigante svedese e i numerosi avversari, tra occasionali spruzzate d’ironia e volti comprendenti la Natassia Malthe del secondo e terzo BloodRayne e l’Aleks Paunovic di Un uomo tranquillo.
Fino all’inevitabile ed indispensabile entrata in scena di un drago sputa fuoco nel corso della fase conclusiva di oltre un’ora e mezza di visione il cui plot subisce in maniera evidente l’influenza da quello alla base de L’armata delle tenebre di Sam Raimi.
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