C’era una volta in America: l’ultimo capolavoro di Sergio Leone arriva su Netflix
Un'opera monumentale che gioca con il Tempo e la Memoria (di un uomo e di un Paese). C'era una volta in America segna il grande addio di Sergio Leone al cinema: una straordinaria alternanza di piani temporali per raccontare la fine di un'epoca, la fine di un'amicizia e la fine di un amore
C’era una volta in America è un film del 1984 diretto da Sergio Leone, con Robert De Niro, James Woods e Elizabeth McGovern. Il film è tratto dal romanzo di Harry GreyThe Hoods del 1952. La pellicola narra, nell’arco di più di quarant’anni (dagli anni venti ai sessanta), le drammatiche vicissitudini del criminale David “Noodles” Aaronson e dei suoi amici. Nel loro progressivo passaggio dal ghetto ebraico all’ambiente della malavita organizzata nella New York del proibizionismo e del post-proibizionismo.
Presentato fuori concorso al 37º Festival di Cannes, è il terzo capitolo della cosiddetta trilogia del tempo. La pellicola è preceduta da C’era una volta il West (1968) e Giù la testa (1971). Malgrado lo scarso successo di pubblico alla sua uscita, col passare degli anni è stato definito unanimemente come uno dei film più belli di sempre.
C’era una volta in America si è infatti posizionato quasi sempre nelle classifiche dei film preferiti di pubblico e di critica. Sceneggiato da Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Enrico Medioli, Franco Arcalli, Franco Ferrini, Sergio Leone. La fotografia è firmata da Tonino Delli Colli. Il montaggio di Nino Baragli. I costumi di Gabriella Pescucci. Le indimenticabili le musiche composte del Maestro Ennio Morricone.
Anni Venti: due ragazzini ebrei, Max e Noodles, iniziano la loro carriera nella malavita con piccoli traffici. Noodles, innamorato di Deborah, finisce in prigione e ne esce durante il proibizionismo. La banda continua a fare affari d’oro, ma a poco a poco tra Max e Noodles il rapporto si va guastando. Un giorno, Max resta ucciso in uno scontro a fuoco.
Ormai Noodles è veramente solo, ma trent’anni dopo riceve una lettera. Vero e proprio “film-testamento” di Leone, che vi riversa il suo personale amore per il cinema della grande Hollywood con un’impetuosità e una devozione assolute. Un affresco insieme epico e realistico, “mitologico” e malinconico.
Il testamento di Sergio Leone
C’era una volta in America, tratto dal romanzo Mano armata di Harry Grey, è il film-testamento del maestro Sergio Leone che, cinque anni dopo l’uscita, morì improvvisamente lasciando alcuni progetti incompiuti, come ad esempio quello sull’assedio di Leningrado oppure Un posto che solo Mary conosce.
Uscito nel 1984, vede le sue radici negli anni appena successivi a Giù la testa del 1971 e si avvale di cinque sceneggiatori oltre a Leone stesso, che sviluppano una complessa vicenda ambientata nella malavita di etnia ebraica del Lower East Side di New York che copre un arco di tempo che va dal 1922 al 1968, suddivisa in quattro periodi – appunto 1922, 1932, 1933 e 1968 – strutturati con un ampio uso di flashback e flashforward.
I temi di C’era una volta in America sono quelli tipici dell’autore romano, come l’amicizia, il tradimento, la lealtà, la fedeltà, la violenza, lo scorrere del tempo.
Sullo sfondo di un contesto storico ben preciso e delineato, in questo caso l’America del Proibizionismo, ma ciò che fa di quest’ultimo suo film un capolavoro anche superiore ai pur altri grandi film precedenti è l’impeto, la generosità, l’amore del regista per la settima arte che traspare dalla costruzione di ogni singola inquadratura e sequenza, che possono essere viste, in seconda lettura, anche come un omaggio sia ai classici del gangster movie del passato, sia all’America, più però quella dei suoi sogni che reale.
I toni sono epici, i tempi sono dilatati. Non c’è mai un attimo di pausa e ogni scena è essenziale e brilla di luce propria anche se estrapolata dal contesto. Va dato merito, per la riuscita dell’opera al prezioso e immane lavoro del montatore Nino Baragli. Alla minuziosa scenografia di Carlo Simi. Al direttore della fotografia Tonino Delli Colli che, grazie alle sue luci, dà alla storia una dimensione dai contorni onirici. Ed infine alla colonna sonora del fido Ennio Morricone, che identifica ciascun personaggio principale con un tema musicale diverso.
C’era una volta in America: il cast
È un film costruito sulla coralità degli interpreti. Tra i quali spicca ovviamente un sensazionale Robert De Niro, nel ruolo di Noodles, gangster idealista e, a suo modo, leale ma anche ingenuo. Perennemente innamorato di Deborah (Jennifer Connelly da bambina ed Elizabeth McGovern da adulta), fredda calcolatrice, più interessata alla carriera che a lui, sempre pronto a gettarsi in soccorso dei suoi amici, anche a costo di rimetterci dieci anni della sua infanzia in galera. Una toccante scena di lui che entra nel penitenziario ricorda l’arresto di Antoine Doinel ne I quattrocento colpi di Truffaut – e perdere tutto quello per cui si era battuto.
Sua la battuta più bella di C’era una volta in America quando, rispondendo al gestore del locale e fratello di Deborah, ‘Fat’ Moe che gli chiede, dopo il suo ritorno a 35 anni di distanza:
Cos’hai fatto in tutti questi anni?
Sono andato a letto presto.
Da evidenziare poi le maiuscole prove di James Woods, nella parte di Max. Prima braccio destro di Noodles, ma poi vera guida e mente della gang, divenuta nel tempo una vera organizzazione, e, alla fine, addirittura un senatore sotto falso nome con l’acqua alla gola che svela tutti i suoi sotterfugi nella scena finale, che sancisce la fine della loro amicizia.
Elizabeth McGovern, la risoluta Deborah da adulta, il ‘sogno’ e l’amore idealistico ed incompiuto di Noodles. Tuesday Weld, amante, anch’essa abbandonata da Max. Infine, in ruoli brevi ma incisivi. Sono da ricordare Burt Young, un gangster italoamericano che fa una brutta fine. James Russo, il ‘rivale’ giovanile dei ragazzi e Danny Aiello, un poliziotto messo alle strette dalla banda, e Joe Pesci. L’inquadratura finale, con Noodles che, inebetito nella fumeria d’oppio, sorride guardando in macchina, è stata definita “il sorriso più bello della storia del cinema”.
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