Con Capri-Revolution, Mario Martone realizza il suo terzo film storico, dopo Noi credevamo del 2010 e Il giovane favoloso del 2014. Il primo, una rappresentazione del Risorgimento, con slanci e contraddizioni, a sottolineare le nostre radici politiche; il secondo, una rilettura umana del poeta nazionale, a valorizzare le fondamenta letterarie della nostra cultura. Ma l’attrazione per il passato non finisce qui; il prossimo suo film infatti racconterà la vita di Eduardo Scarpetta, e Toni Servillo ne sarà l’interprete. “Storie di ieri che restituiscono profondità all’oggi”, dice Martone, che, in un’intervista, parlando dell’importanza del passato al cinema, cita tra queste Santiago, Italia di Nanni Moretti.
Il Capri-Revolution di Martone
Ora siamo nel 1914, a un passo dalla prima guerra mondiale. Capri, con il mare visto dall’alto delle scogliere a picco, fatta di pietraie e muretti a secco, è di una bellezza disarmante. Fin dall’inizio vediamo muoversi Lucia (Marianna Fontana), giovane donna analfabeta, che conduce le capre e come loro, insieme a loro, saltella con grazia nella selvatichezza del paesaggio. Martone cura molto l’andatura dei suoi personaggi: la fierezza dell’incedere di Lucia alla fine del film col suo vestito rosso non può non ricordare la spavalderia di Delia ne L’amore molesto, se pure le donne sono diverse, diverse le loro vicende. E che dire poi della camminata di Leopardi e del suo lento incurvarsi?
Qui Martone fa quasi volare Lucia, la fa salire e scendere sulle scarpate di Capri con la dimestichezza di una ninfa dei boschi; del resto, ambienti e personaggi (gli attori hanno quasi tutti meno di trent’anni) sono avvolti in una sorta di verginità, per rendere una storia di rinascita, senza tempo, anche se contemporanea, come lo sono tutte le narrazioni di consapevolezza. Il soggetto di Lucia era già presente nella figura femminile che Luigi Lo Cascio incontrava in Noi credevamo ed è un po’ ispirata alla Modesta di Goliarda Sapienza nel romanzo L’arte della gioia. Figura di donna (Lucia) che sente il proprio destino oltre i limiti della famiglia, un’intelligenza che non può continuare a essere mortificata dall’autorità dei fratelli. Ma anche per loro, vittime della rigidità sociale, il regista prova compassione, così come per la madre (Donatella Finocchiaro), immagine ancestrale, silenziosa e presente.
Alcune considerazioni su Capri-Revolution di Martone
Sull’isola dove tutto sembra immobile, però, come per incanto Lucia incontra le persone che le cambieranno la vita: un gruppo di giovani che la prima volta le appaiono nudi, come un enigma carico di fascinazione. Il mistero si chiarisce lentamente anche per noi. Nella realtà, si tratta di una comune che si stabilì a Capri dal nord Europa negli anni tra il 1900 e il 1913, creata dal pittore Karl Diefenbach, assimilabile a quella svizzera di Monte Verità (dove nacque la danza moderna) . Il loro credo era fatto di contatto con la natura, pacifismo, vegetarismo, nudismo, meditazione. Nel film il maestro porta il nome di Seybu (Reinout Scholten van Aschat), bello come un dio greco, nella sua fisicità e nel suo essere così ostinatamente spirituale. Immaginiamo l’impatto con la popolazione del luogo, che può solo considerare diaboliche le pratiche dionisiache di questi forsennati. Lucia, invece, si avvicina curiosa, ingaggiando un gioco con Seybu prima di soli sguardi, poi di provocazioni, fino al contatto profondo. Impara a leggere, a parlare in italiano e persino in inglese, a liberarsi dagli obblighi, a rendersi completamente libera. Niente è più rivoluzionario del desiderio di libertà, dice il trailer del film, ma ciò che più piace di questo personaggio femminile è soprattutto la sua capacità di scelta.
Una riflessione
Avrebbe potuto seguire un altro percorso di crescita, Lucia, quello suggerito dal giovane medico arrivato da poco a Capri (Antonio Folletto), che la vorrebbe far studiare da infermiera. Lui è un socialista convinto, fedele alla scienza, con una visione del mondo opposta a quella di Seybu. Entrambi solo certezze, non come il giovane favoloso che diceva “chi dubita sa, e sa più che si possa”. Gustosi i dialoghi tra i due, per come il regista riesce ad essere equidistante, e sa anche farci sorridere quando il guru dice all’uomo di scienza: “Avere tutte queste certezze la riposa o la stanca?”. Ecco, non ci si riposa mai nel film, nei film, di Martone (fatti di poche verità, ma tante domande). E anche se lui sostiene che a ogni nuovo lavoro gli piace cambiare, che non gli importa rincorrere una poetica a tutti i costi riconoscibile (come non importava al suo maestro, Rossellini), noi la ritroviamo comunque. Nella complessità, nella stratificazione di significati, nei quesiti filosofici, uniti a un’estetica raffinata, alla ricerca paziente di una messa in scena rigorosa. Si vede come ogni passaggio sia studiato accuratamente, e come porti i segni distinguibili di una narrazione teatrale.
La colonna sonora
Anche la colonna sonora di Capri-Revolution di Martone, di Sascha Ring e Philipp Thimm, è frutto di un lavoro paziente. Lo stesso Sascha suona dal vivo all’interno del gruppo con strumenti della tradizione mediterranea. Le danze dei giovani hippy di allora provate e riprovate fino a risultare perfette. Se vogliamo fare un appunto, forse un po’ troppo lunghe e frequenti. Ma Mario Martone, che nella presentazione del suo film a Milano è seduto in mezzo al pubblico per sentirne il respiro, confessa di essersi fatto sedurre da quel mondo rivoluzionario e di aver realizzato Capri-Revolution per dare voce alla parte libertaria, inascoltata, di se stesso. Danze comprese.