Il tema del gioco ha sempre affascinato nel corso della sua storia, il cinema. Specialmente quando si parla di film classici della vecchia o della New Hollywood. Un tema ricorrente, come si può vedere anche in casi recenti come per Molly’s Game o per La ballata di Buster Scruggs, l’ultima pellicola dei fratelli Coen targata Netflix. Naturalmente il film dei fratelli Coen tratta il tema del gioco in modo molto trasversale e diametralmente opposto rispetto all’esordio dietro la macchina da presa dello sceneggiatore Aaron Sorkin. Nell’ultimo film dei Coen il gioco e nello specifico il poker, funge da pretesto per raccontare e caratterizzare due dei sei episodi che compongono il puzzle sul vecchio West, e una visione abbastanza nostalgica e laconica dei miti della Frontiera. Il cinema dei Coen molte volte è basato su premesse e dettagli che possono fuorviare da quella che è la trama dei loro film. Si tratta della loro cifra stilistica, che assieme a Quentin Tarantino, li rende unici nel loro canone, solo in apparenza legato al cinema classico e mainstream. Piuttosto differente invece è l’approccio con cui l’esordiente Sorkin tratta il tema del gioco, e nello specifico del poker nel suo film Molly’s Game. Si tratta di una delle pellicole più interessanti della passata stagione, grazie soprattutto a un formidabile script, sempre opera dello stesso Sorkin e dell’interpretazione della sempre più brava Jessica Chastain, capace di immedesimarsi alla perfezione nel ruolo di Molly Bloom, la giovane atleta che per sbarcare il lunario si diede con grande successo al gioco d’azzardo. Una trama che come tutti sanno è basato sulle memorie della stessa Molly Bloom e si avvale di un cast all-stars, dove spiccano tra gli altri, Idris Elba (La torre nera) Kevin Costner e Michael Cera.
Molly’s Game può essere letto in doppia chiave: una ricognizione cinica e spietata, come spesso avviene coi suoi script, sugli ambienti facoltosi del giro del poker, ma è anche una riflessione sullo star system, visto che tra i giocatori molti erano divi del cinema e quindi di Hollywood. Sorkin dopo aver affrontato con successo prima l’ascesa di Mark Zuckerberg in The Social Network di David Fincher, e poi aver racchiuso in tre momenti salienti la vita di Steve Jobs, nell’originale biopic dello scozzese Danny Boyle, si è messo in proprio, occupandosi anche della regia, scegliendo quindi una storia ad ampio respiro, che per certi versi ricorda la bella sceneggiatura di Charlie Wilson’s War, pellicola ingiustamente sottovalutata, interpretata da un insolito ed eccezionale Tom Hanks. Questa volta Sorkin affronta il tema del gioco raccontando dei migliori casino e dei circuiti esclusivi del poker, attraverso una storia audace e contemporanea, che non ha paura di mischiare le carte, prendendo una trama non semplice e sviluppandola con quella classica dissertazione di ascesa e discesa agli inferi tipica del cinema di un altro grandissimo cineasta come Martin Scorsese. Un cinema che ha il coraggio di affrontare tematiche scomode, come quella del gioco d’azzardo, dei ricatti morali e immorali, dove possiamo ritrovare canovacci classici, come le caratterizzazioni di alcuni personaggi, appartenenti al mondo degli affari di Wall Street o della pericolosissima mafia russa. L’abilità di Sorkin, che scrive sempre in punta di penna, così come della Chastain che ci restituisce inquietudini, fascino e pericolosità, è certamente un esempio di grande cinema, nel senso più classico del termine. Del resto il gioco ha sempre affascinato Hollywood e i suoi migliori interpreti, di cui certamente Jessica Chastain può a buon diritto farne parte.