La sequenza iniziale svolge due funzioni: la prima è narrativa e serve per introdurre i personaggi del film; la seconda invece ne stabilisce la forma e pure gli intenti. In particolare, l’artificialità della messinscena, in cui uomini e donne sembrano posare in attesa dello scatto fotografico, colloca la storia in una dimensione più ideale che reale.
In realtà la sequenza di apertura non ha un ruolo narrativo; presenta personaggi che svolgono una parte significativa nell’economia del film insieme ad altri destinati a rimanere sullo sfondo. Lo scopo è quello di dare alla storia una sorta di dimensione apocalittica e fiabesca. Nonostante il tono drammatico e iperrealista, Non dimenticarmi cerca di fare l’occhiolino allo spettatore, poiché il film è una sorta di dark comedy e persino una specie di leggenda in cui ridere è lecito. Volevo evitare che lo spettatore annegasse in un mare di tristezza e di pietà. Anche nelle situazioni più dolorose viene mantenuto comunque un tocco di divertimento. Aggiungo che i video-ritratti che compongono la sequenza di apertura sono stati girati da un fotografo italiano che si chiama Alessio M. Schroeder e sono stati ispirati a quelli da lui scattati a prostitute e transessuali austriaci.
L’ultima sequenza pare confermare la dimensione di cui ti accennavo, quando la musica del cantastorie sembra prendere in consegna le parole di Tom. In questo modo è come se la vicenda che abbiamo appena visto fosse uscita dalle parole della sua canzone che non a caso intona “Don’t Forget me”, ovvero il titolo del film. Più che una storia d’amore quella di Tom e Neil sembra essere una vera e propria fiaba.
Le tue osservazioni mi rendono felice. Sì, è una specie di leggenda. Da una parte, questa è una storia specifica su due persone malate di mente che cercano di volare e sognare e poi si schiantano a causa dei loro limiti. In realtà tutti vogliamo volare e a ciascuno di noi è capitato di bloccarsi sul più bello proprio perché non riusciamo a tenere testa ai nostri desideri. In generale volevo che ogni fotogramma avesse una tensione tra l’iperrealista e il teatrale. E, ancora, che lo spettatore non sapesse se stesse guardando un attore o una persona qualunque, una messinscena o un’improvvisazione, e soprattutto se ciò che ha davanti fosse normalità o follia.
Fare della prima e dell’ultima scena la misura del tono e della dimensione anche interiore entro cui si svolge la storia ti consente di adottare una regia invisibile, priva di quei movimenti di macchina e degli effetti visivi con cui di solito si restituisce lo stato d’animo dei personaggi. Una soluzione, la tua, che non diminuisce l’efficacia della resa emotiva e dello stato di sospensione tipico dell’amore che lega i due protagonisti.
Sì, è vero. L’esperienza del film è stata quella di farlo diventare iperrealista ogni volta che sembrava teatrale, e, viceversa, di renderlo teatrale ogni volta che si spingeva in territori di puro realismo. Ciò ha fatto si che esso si muovesse costantemente all’interno di questa tensione permettendo alla mia regia di essere invisibile.
Oltre al mio lavoro come regista di serie tv, per molti anni ho creato progetti di film e spettacoli teatrali in cui venivano impiegate persone malate di mente. In ogni occasione quello che ci ha uniti è stata la gioia della creazione, non la pietà e la miseria. Per questa ragione era importante che lo spettatore considerasse gli eroi di Non dimenticarmi senza il filtro della pietà e con un punto di vista che gli permettesse di considerarli non come malati di mente ma in qualità di persone imperfette che. alla pari di noi, cadono nel tentativo di realizzare i propri sogni. Da qui la tensione tra spontaneità e messinscena.
Tu scegli una regia che favorisce la centralità dei personaggi e l’interpretazione degli attori. Se i movimenti di macchina sono pressoché assenti, il tuo lavoro si concentra molto sulla costruzione delle inquadrature e sulla composizione delle singole scene. In una di queste riesci a trasmettere il presagio di ciò che avverrà separando la sagoma di Tom da quella di Neil con un furgoncino che sembra capitato lì per caso. In quella finale, invece, il disagio dei due protagonisti è trasmesso dal decentramento dei ragazzi rispetto all’inquadratura, oltreché dal loro essere come soffocati dalle pareti dell’ospedale.
Volevo che le ambientazioni e gli sfondi del film raccontassero la storia non meno dei volti dei miei eroi. Ecco perché il film è stato girato con una lente cinemascope. L’ubicazione del Eating Disorders Institute è stata girata in un luogo con un’architettura brutale e spoglia. La casa famiglia invece in uno affollato, caldo e borghese mentre l’ultima parte del film, quella in cui Tom e Neil trovano un rifugio sicuro, ho pensato di ricrearla a sud di Tel Aviv in un area in cui si trovano rifugiati, lavoratori immigrati, tossicodipendenti e prostitute. In tutto il film le istituzioni, gli ospedali, i muri spogli, le immagini, i volti dei passanti raccontano una storia che a volte è dritta come le pareti degli ospedali e a volte è casuale e documentaria come il furgone che copre Tom e la separa da Neil.
Rispetto alla filmografia israeliana che siamo abituati a conoscere, Non dimenticarmi è un film anomalo per il fatto di non fare riferimenti espliciti alla situazioni geopolitiche del tuo paese. Il fatto di volerti concentrare esclusivamente sui sentimenti dei protagonisti mi sembra già una scelta di campo molto forte e direi a suo modo politica. Sembra quasi ristabilire la supremazia dell’amore e delle emozioni sulle necessità istituzionali e di governo.
La psicosi nazionale israeliana esiste nel film. La casa dei genitori di Tom è piena di bandiere israeliane; appese al muro ci sono la mappa del Grande Israele e persino la Dichiarazione di Indipendenza. Il padre è arrabbiato e deluso da Tom, perché lei non è in grado di essere un cittadino da spendere a beneficio del paese, mentre la madre quando sente parlare del prossimo viaggio a Berlino di Tom irrompe in un monologo che è una specie di “porno-Olocausto”. Il suo discorso è frutto di una visione orrorifica e psicotica. Tom e Neil vengono espulsi dal cuore della borghesia israeliana e vagano per le zone remote di Tel Aviv in cui si sentono a casa e soprattutto non giudicati.
Ciò detto, il film non rinuncia a raccontare il tuo paese. Rispetto alla freddezza delle persone che li circondano e alla mancanza di empatia di amici e famiglia, la malattia di cui soffrono i protagonisti appare come un valore positivo: essa è il segno di una dialettica con il reale che negli altri è assente come pure la forma di una reazione che nella sua diversità si oppone al dilagare del conformismo.
Non so se il paragone con la psicosi dei genitori e la mentalità ristretta degli amici e di chi si occupa di loro faccia della malattie di Tom e Neil qualcosa di positivo. La questione è riuscire a distinguere quali sono le persone da ricoverare e quelle che invece sono sane. Nel film questo confine è sfocato e sembra che la follia invisibile della società sia molto più violenta e distruttiva della pazzia diagnosticata a Tom e Neil.
L’ultima fotogramma è quello che immortala il volto dei protagonisti. La modalità in cui tu li riprendi e l’incertezza delle loro espressioni rispetto al futuro mi ha ricordato il finale de Il laureato. C’era questa volontà da parte tua?
La location dell’istituzione psichiatrica è stata scelta perché mi permetteva di mostrare Neil e Tom al centro di un incrocio di corridoi, di cui peraltro il film è pieno. Al momento delle riprese il direttore della fotografia, Shark De Mayo, ha deciso di fare un’inquadratura non pianificata, un doppio scatto in cui Neil e Tom guardano direttamente in camera. Ci siamo immediatamente resi conto che questo sarebbe stato lo scatto finale e solo in sala di montaggio ho capito che questo fotogramma somigliava in realtà all’ultima ripresa di The graduate di Mike Nichols. La cosa mi ha reso molto felice, perché non solo si tratta di un film che amo ma che pure appartiene al mio DNA culturale.
Gli attori sono bravi e perfettamente in parte: come li hai trovati e che tipo di lavoro avete svolto per farli entrare nei personaggi e per trovare la chimica della loro unione?
Ho incontrato Nitai Gvirtz (Neil) e Moon Shavit (Tom) in un laboratorio di recitazione da me tenuto e al quale loro hanno partecipato in veste di studenti. In una delle classi del workshop, Nitai ha lavorato sul personaggio di un suo amico d’infanzia che collassò mentre studiava musica ad Amsterdam. Moon ha lavorato a una lezione basata sulle proprie esperienze e su quella di ragazze che conosceva e che soffrivano di disturbi dell’alimentazione. Il film è in realtà un progetto comune a ciascuno di noi tre. Abbiamo continuato a lavorare dopo il workshop esplorando i personaggi attraverso improvvisazioni, materiali personali e altro ancora. Nitai ha scritto la sceneggiatura seguendo il nostro lavoro. Così facendo i personaggi del film sono il riflesso del mondo reale degli attori che li interpretano.