Reise nach Jerusalem (The Chairs Game), opera prima da regista dell’attrice italiana Lucia Chiarla, residente da anni a Berlino, racconta la tragica quotidianità di Alice (Eva Löbau), donna single di 39 anni, disoccupata da lungo tempo in cerca spasmodica di un lavoro.
Tutto il mondo è paese, Berlino come Roma o qualsiasi altra città europea. La mancanza di lavoro è uno stato che colpisce vaste fasce di popolazione (soprattutto quella giovanile). Alice non è più propriamente una ragazza alle prime armi, ma nemmeno una persona alle soglie della pensione – che allo stato attuale risulta una chimera per molti lavoratori e disoccupati. Alice è alle prese con corsi di “riqualificazione” che è costretta a frequentare dal servizio sociale, pena il decadimento del sussidio, con l’invio di centinaia di curriculum di copy e content manager, alle prese con gli incontri con i suoi ex colleghi e una coppia di anziani genitori, un po’ egoisti e non coscienti del disagio in cui vive la loro unica figlia, con una madre la cui unica preoccupazione è vederla sposata.
Lucia Chiarla sembra descrivere una situazione che ha vissuto da vicino e segue la sua protagonista restandole addosso con la macchina da presa, ma sempre alla giusta distanza, dando la possibilità alla brava Eva Löbau di riempire il personaggio di Alice con l’angoscia, la rabbia e la vergogna di vivere un’esistenza precaria e senza futuro. Alice in Reise nach Jerusalem lotta per riuscire a pagare l’affitto e mangiare, ma lentamente la vediamo cadere in un abisso senza fondo dove tutto sembra congiurare contro di lei. Una donna nella piena maturità psico-fisica senza lavoro diviene automaticamente una persona non grata, un peso economico per gli altri, un’esclusa dalla società consumistica perché non più produttiva e quindi non più consumatrice. Nella società fluida descritta lucidamente dal sociologo Zygmunt Bauman il cittadino esiste in quanto consumatore di prodotti e nel momento in cui si trova fuori dal ciclo produttivo diventa uno scarto nel vero senso della parola.
Alice in Reise nach Jerusalem finge continuamente con tutte le persone che gli stanno intorno, cercando di salvaguardare le apparenze, come un’infiltrata in un’organizzazione sociale che non la vuole più e a cui lei tenta in tutti i modi di aggrapparsi. Diventano tragicomiche le sequenze degli incontri con l’assistente sociale e la partecipazione a un corso per compilare correttamente un curriculum “accattivante e fantasioso”, che ricordano le atmosfere del romanzo La scuola dei disoccupati dello scrittore tedesco Joachim Zelter, rappresentando una situazione ormai entrata all’interno della produzione culturale di questo decennio per molti artisti. Del resto, il decadimento di Alice si riverbera direttamente sulla sua persona. La mancanza di lavoro non è solo una questione economica – Alice conta le monete dei pochi centesimi per comprare da mangiare – ma diventa una situazione di mantenimento della dignità personale. Allo smembramento delle relazioni sociali si affianca anche un vero e proprio decadimento morale e fisico. Così vediamo Alice elemosinare incontri per le ricerche di mercato pagate con buoni benzina o incontri improbabili con cosiddetti amici per chiedere lavoro. Arriva a pagare un vicino che fa mille mestieri, ma soprattutto il gigolò, per un po’ di sesso. E il decadimento fisico non è solo nell’aspetto poco curato, come i capelli sempre scompigliati e l’indossare abiti poveri, ma arriva alla simbolica rottura di un dente prima di un importante colloquio di lavoro. Intorno e dentro Alice in Reise nach Jerusalem tutto va in frantumi: la poltroncina dove si siede per scrivere al computer; il collegamento internet che non funziona, la rottura del pedale della bicicletta. Fino alla rottura di un secondo dente proprio durante il colloquio. E in quella scena topica si frattura qualcosa in modo definitivo anche dentro Alice che rinuncia a tutto, fuggendo con il camper dei genitori verso un orizzonte aperto di (im)probabilità
La regista italiana immerge la protagonista in una Berlino notturna con una luce grigia invernale. Tutto il mondo simbolicamente va in pezzi e Lucia Chiarla riesce a controllare in modo efficace lo spazio scenico e la forma per rendere il contenuto ancora più drammatico. Reise nach Jerusalem si trasforma così in un teso thriller sociale dove Alice è una vittima che combatte contro un sistema socioeconomico che la vuole eliminare. Un’opera prima intensa e partecipata di una regista con una voce autonoma e già definita da seguire con attenzione.