Relegare il bel lungometraggio di esordio di Dario Albertini, Manuel, nella categoria dei film appartenenti al cosiddetto cinema delle periferie, volendo con questa considerazione ridurne il valore, sarebbe un’operazione oltre che ingenerosa anche assai miope, laddove, sebbene lo sfondo in cui prende corpo l’azione è senz’altro quello degli spazi angusti e inospitali dei dintorni metropolitani, ciò che costituisce il cuore della narrazione è il divenire interiore del protagonista (il bravissimo e sorprendente Andrea Lattanzi), colto in un momento cruciale di crescita.
Manuel sa di essere più maturo dei suoi coetanei e, dunque, in grado di assumersi anche l’enorme responsabilità di garantire la propria presenza nella vecchia casa per permettere alla madre di uscire dal carcere e usufruire degli arresti domiciliari. Per far ciò si deve verificare un rovesciamento decisivo: il figlio, in un certo senso, deve acquisire il ruolo di genitore, sebbene sopportare una tale inversione di segno a soli diciotto anni sia un compito quasi sovrumano. Ciò che colpisce, quindi, è il contenimento emotivo del protagonista, che con grande dignità e coraggio si appresta ad affrontare una sfida difficilissima, senza sapere se possieda effettivamente le risorse per sostenerla. Il merito di Dario Albertini è di aver saputo gestire con grande equilibrio la materia emotiva del film, senza mai scadere in toni melodrammatici, né, di contro, abusando di uno sguardo eccessivamente disincantato per scuotere a buon mercato lo spettatore. Si assiste a un crescendo graduale che, anche quando raggiunge l’apice, non si discosta mai da una prospettiva d’osservazione verosimile, invitando chi guarda a immedesimarsi, ma senza per questo ammiccare o utilizzare furbi espedienti studiati ad arte.
La storia messa in scena in Manuel ricorda un po’ – e ciò non costituisce un demerito, semmai è esattamente l’opposto – quelle viste nel cinema necessario ed esatto dei fratelli Dardenne, ma Albertini sa distinguersi per un proprio stile che, anche se non disdegna il manierismo del pedinamento, sa concedersi delle aperture, delle significative variazioni, come l’intensa sequenza in cui una ragazza aspirante attrice (Giulia Elettra Gorietti), incontrata per caso da Manuel, si produce nell’interpretazione di un testo teatrale tratto da Baci rubati di Truffaut, ipnotizzando il suo ascoltatore: i loro volti che si avvicinano, occhi negli occhi, danno corpo a un momento molto poetico, quasi l’inizio di un amore che poi, però, non trova lo spazio e il tempo per concretizzarsi.
Da segnalare anche la grande prova di Francesca Antonelli, nel ruolo della madre di Manuel: una parte, la sua, certamente non facile, giacché l’attrice in poche sequenze ha dovuto tratteggiare a tutto tondo un personaggio chiave del film, una donna distrutta dal proprio passato e dai sensi di colpa per aver fatto crescere da solo il figlio in una casa-famiglia. Bella anche la breve apparizione di Renato Scarpa, che salutando Manuel al momento dell’uscita dall’istituto lo ammonisce a trovare la propria strada. Opportuna è, infine, la fotografia di Giuseppe Di Maio che, con un grigiore di fondo, rende bene l’idea della difficoltà del cammino che aspetta il giovane per tentare di assicurarsi un futuro dignitoso.
Pubblicato da Tucker Film e distribuito da CG Entertainment, Manuel è disponibile in dvd, in formato 1.85:1 con audio Dolby Digital 5.1 e sottotitoli per non udenti. Nei contenuti extra sono presenti due cortometraggi di Dario Albertini (Christian, L’abbandono non è lontano), il backstage e le foto del backstage.
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