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MedFilm Festival: Piombo fuso di Stefano Savona

Antonio Savona, trovandosi in Palestina per documentare l’offensiva israeliana in terra palestinese (denominata appunto Piombo fuso), ha trovato il modo di entrare nella striscia di Gaza, riuscendo a evitare l’embargo che impediva a giornalisti e cineoperatori di penetrare nei territori bombardati per filmare ciò che stava accadendo

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Se quelle che vediamo sul grande schermo sono reminiscenze di una memoria collettiva oltreché individuale, allo stesso modo non deve sorprendere che i film abbiamo la possibilità di influenzarsi uno con l’altro in uno scambio reciproco e continuo di suggestioni e conoscenze. Manifestazioni come il MedFilm Festival sembrano fatte apposta per confermare questa tesi, mettendo insieme tre film come Piombo Fuso e La strada di Samouni dell’italiano Stefano Savona e The Other Side of  Everything della serba Mila Turajlić, avvicinati dalla comunanza del formato documentario e dalla scelta di temi legati a vicende bellicose.

Così, se ne La strada dei Samouni il ritorno nella striscia di Gaza nasceva in continuità con gli eventi filmati in Piombo fuso, nella volontà di dare voce ai superstiti della tragedia palestinese, di quest’ultimo il film della Turajlić ripropone in qualche modo la particolarità del punto di vista, mettendo in scena il fuori campo di un’esperienza altrimenti destinata a restare nell’immaginario di chi ne è stato vittima. Anche in The Other Side of  Everything lo spunto da cui partire per raccontare un mondo altro è costituito dal superamento di una barriera fisica. Tale è la porta che per circa settant’anni ha impedito alla famiglia della Turajlić di rientrare in possesso della porzione di appartamento confiscata dal regime comunista e assegnata a terzi. Un’urgenza più o meno simile a quella provata da Savona, quando (nel dicembre del 2008), trovandosi in Palestina per documentare l’offensiva israeliana in terra palestinese (denominata appunto Piombo fuso), ha trovato il modo di entrare nella striscia di Gaza, riuscendo a evitare l’embargo che impediva a giornalisti e cineoperatori di penetrare nei territori bombardati per filmare ciò che stava accadendo.

Lungi dall’essere un semplice quanto temerario reportage, Piombo fuso fa dell’immagine delle zone colpite il luogo dello smarrimento e della solitudine in una rappresentazione del tempo e dello spazio che è narrativa e soprattutto interiore. Vagando per le rovine della città fantasma, Savona restituisce il rumore della morte nei silenzi e nella confusione delle persone scampate all’offesa di un nemico tanto letale quanto astratto. Ed è proprio il contrasto tra l’impossibilità di dare volto al nemico e la catastrofica evidenza della sua potenza distruttiva ad allontanare il male dalla banalità delle dichiarazioni ufficiali e dalle giustificazioni di comodo per riportarlo al suo stato più primordiale ed efferato. Savona ha il coraggio di guardarlo in faccia in una delle sequenze più forti del film, quella in cui assistiamo impotenti allo sgomento di un neonato annichilito dal frastuono che precede l’incursione del nemico. Urgente e indispensabile, come tutto il cinema del regista siciliano.

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