Ogni film racconta l’ingresso del protagonista in un mondo straordinario, che può essere rappresentato da un viaggio, una calamità naturale, un amore, e così via. Nel sesto coraggioso lungometraggio di Gianni Zanasi, lo straordinario assume i contorni dell’apparizione miracolosa e le sembianze naturalistiche di una Madonna (Hadas Yaron) vestita di stoffa sgualcita, come nel Rinascimento l’avrebbe potuta dipingere Caravaggio.
Col tono delicato della commedia surreale, Troppa grazia si interroga sull’attualità del conforto spirituale in un mondo materiale (anche nella sua dimensione virtuale) sempre più ambiguo e difficile da fronteggiare: al giorno d’oggi una lavoratrice, ragazza madre, tradita dall’attuale compagno (Elio Germano) e costretta da un potente corrotto (Giuseppe Battiston) a produrre un documento mendace, può fare a meno del sostegno ultraterreno?
Nei panni della veggente Lucia, il regista ha potuto dirigere la sempre più brava Alba Rorhwacher, che pochi giorni fa alla Festa del Cinema di Roma ha detto di ispirarsi alla grande Gena Rowlands (A woman under the influence di John Cassavetes, l’interpretazione prediletta): stupita ed insieme impaurita per quello che le sta accadendo, sospesa tra rifiuto e accoglienza del fenomeno soprannaturale, ma mai con la testa nelle nuvole e sempre donna con i piedi per terra, che vorrebbe svolgere il suo lavoro di geometra e il suo ruolo di madre nel miglior modo possibile.
La struttura familiare descritta in questa coproduzione italo-greco-spagnola, girata nella Tuscia, è imperniata sulla figura femminile, a partire dalla prima scena in cui Lucia è un’infante tra le braccia di sua madre. Zanasi ritrae donne di sentimento, lasciate sole da uomini distratti dalle passioni materiali, dai soldi facili o dal successo effimero della popolarità virtuale. Sembra che l’unica speranza di rinascita sia affidata all’iniziativa di donne che sanno essere forti come Lucia, come sua figlia Rosa, abile spadaccina, e naturalmente come la Madonna, che Lucia descrive con l’aggettivo “tosta”. «Ciò che ci affascina della Madonna, al di là dell’iconografia che ci arriva dall’infanzia, penso sia l’intransigenza – afferma Gianni Zanasi, – uno sguardo che ha una nettezza d’altri tempi, e che dice a un presente tutto dedito ai compromessi: tu non sei tutto. (…) Un implacabile e scomodissimo richiamo etico ed esistenziale».
Il contesto ambientale in cui a Lucia viene chiesto l’inaccettabile, ovvero di “truccare” la rilevazione di un terreno, ci riporta tristemente alla mente tanti dissesti idrogeologici innescati dalla cementificazione e, in generale, da uno scriteriato sfruttamento del suolo che più volte ha causato disastri e vittime nel nostro Paese. Accanto alla terra, nel film c’è un’altra sostanza importante, l’acqua, non solo come fattore cardine delle calamità idrogeologiche, bensì come elemento simbolico della necessaria purificazione da affarismo e corruzione: si inquadrano così sia le insistenti raccomandazioni a Rosa di far la doccia, sia l’esilarante bagno nella fontana. Anche la luce, naturale o elettrica, assume un significato metaforico: caratterizza il nome stesso della protagonista e viene a mancare nei momenti più critici della vicenda. Non alzeremo oltre la cortina del mistero e, nell’invitarvi a vedere questo lungometraggio presentato a Cannes nella Quinzaine des Realisateurs e vincitore del Premio Label Europa Cinema, concludiamo con le suggestive parole di un brano dei Radiohead compreso nella gradevolissima colonna sonora: I say my prayers every night, I promise.