Quando nel 2008 Iron Man sbarcò e sbancò sul grande schermo, rappresentò forse inconsapevolmente la testa di ponte per il MCU al cinema. Una sorta di battesimo del fuoco, un banco di prova talmente valido che convinse milioni di fan (non solo seguaci dei fumetti Marvel) a seguire e in seguito tributare quel successo infuocato che poi in seguito quell’universo condiviso ebbe. E la prima stagione di Daredevil fu un qualche modo l’equivalente in tv: nonostante i dubbi e le perplessità (sempre di quei fan talebani di sopra), il serial creato da Drew Goddard conquistò pubblico e critica e fu per molto tempo la punta di diamante del repertorio Netflix, figliando poi una serie ancora inesausta di altre cose – dalla stessa seconda stagione del Diavolo Rosso fino a Jessica Jones, Luke Cage e Iron Fist, ognuno con due stagioni sul groppone, fino ad altri prodotti non Netflix come Runaways e Cloak & Dagger – che non raggiunsero però quel consenso globale di cui invece godette Daredevil.
I motivi sono presto detti: una scrittura precisa e tagliente, una regia efficace e vigorosa, comparto attoriale di prim’ordine, fotografia quanto mai aderente alla carta stampata ma senza tradire gli stilemi e le necessità cinematografiche, e soprattutto una storia che prendeva il meglio della già abbondantemente ottima storia del difensore di Hell’s Kitchen, aggiungendo e levando ma sempre pesando con equilibrio. Tutti ingredienti che invece sembrarono mancare non solo a tutti gli altri serial, ma proprio alla seconda stagione di Daredevil: che però, complice il ritorno ai testi di quel geniaccio un po’ naif di Goddard, tornano prorompentemente in questa terza.
Come nei fumetti, tra un passaggio e l’altro di consegne fra un writer e un altro (da Frank Miller ad Ann Nocenti, da Ed Brubaker a Mark Waid, da Kevin Smith a fino al Charles Soule di oggi), alcuni punti fermi rimangono nel mondo di Matt Murdock, l’alter ego senza vista di Daredevil: sintomo che il personaggio, creato nel 1964 da Bill Everett e Stan Lee, ha ancora tanto da dire ed è così ricco di sfumature da prestarsi a varie declinazioni. Fermo restando il leitmotiv principale: l’ossessione.
Da quella di Matt nei confronti della religione – che lo spinge ad esplorare il confine fra giustizia e vendetta, fra responsabilità e patologia-, a quella fra il protagonista e la sua nemesi, un Wilson Fisk enorme nelle dimensioni e nelle capacità recitative del suo interprete, Vincent D’Onofrio; fino al rapporto ossessionato con l’Amore e con Karen Page ed Elektra Natchios, i due grandi amore della vita di Murdock.
Tutto splendidamente riassunto in una delle più belle storie a fumetti di sempre, Born Again, opera di Miller e David Mazzuchelli, e nel Diavolo Custode di Smith e Joe Quesada: e che sono un po’ la fonte narrativa principale di questo Daredevil 3, pieno zeppo com’è di dissidi interiori, dubbi esistenziali, riflessioni sul doppio. Un’immersione totale, insomma, nella psiche dei protagonisti che si integra brillantemente con una gestione narrativa impeccabile, con quel suo crescendo nascosto ma costante; una sapiente scrittura che accentua le dinamiche e l’intimità di vecchi e nuovi personaggi.
In questo modo, il Daredevil di Goddard si conferma e si pone come un prodotto estremamente autoriale, molto poco “cinecomic” (se si vuole proprio creare un parallelo con il MCU citato all’inizio, dove – almeno nei primi i film, la cifra stilistica predominante era quella della commedia e della rivisitazione dei generi classici), con una rigorosa impronta estetica e un ben preciso orizzonte narrativo. Senza poi dimenticare le meravigliose coreografie dei combattimenti, con un occhio di riguardo alla perla della 3×02: un piano sequenza di 11’, senza un attimo di cedimento di tensione, senza un fotogramma fuori posto, senza perdere neanche per qualche secondo la sua carica emotiva.
La consacrazione definitiva del Cornetto.
di GianLorenzo Franzì