Il maratoneta, un film del 1976 diretto da John Schlesinger e interpretato da Dustin Hoffman e Laurence Olivier, tratto dal romanzo di William Goldman, autore anche della sceneggiatura. La sceneggiatura del film segue piuttosto fedelmente il romanzo originale. La differenza più evidente è nel finale. Nella versione originale del film, la sequenza della “tortura” di Szell a Babe durava molto di più, ma la reazione del pubblico all’anteprima convinse il regista a tagliarne gran parte. Il film ha ottenuto una candidatura ai Premi Oscar, ha vinto un premio ai David di Donatello, 5 candidature e un premio ai Golden Globes (Miglior attore non protagonista a Laurence Olivier).
Sinossi
Uno studente universitario ebreo, tutto preso dalla sua tesi di laurea e dagli allenamenti per la maratona di New York, si trova suo malgrado coinvolto in un intrigo internazionale tra ex nazisti sadici e diamanti rubati. Dal romanzo di William Golding, un thriller che non lascia un attimo di tregua e riesce ad evocare fantasmi inquietanti. Il film procede assemblando frammenti di un puzzle, ma l’immagine che via via si compone, lungi dal farsi chiarificatrice e rassicurante, accumula inganni sempre più inquietanti. Magnifico il confronto d’attori tra Hoffmann e l’ex criminale nazista Laurence Olivier.
La visione cinematografica, nelle mani di John Schlesinger, è un colore da stendere ora con pennellate violente, ora con la delicata precisione di un pennino: l’effetto è comunque quello di un tratto graffiante, che lacera la superficie degli eventi creando stelle filanti di emozioni, penetranti come il dolore di una tortura e allucinanti come una manciata di diamanti gettata al vento. La vicenda de Il maratoneta squarcia il velo della normalità per scoperchiare il demone del male che cova sotto la storia, attraverso gli anni, e porta gli incubi del passato a riemergere in mezzo alla tranquilla apparenza del presente. Un ex-criminale nazista che circola indisturbato tra la folla di New York incarna la minaccia infernale che può colpire chiunque a tradimento, trascinando anche la persona più comune ed innocente in un vortice di crudeltà, falsità ed ingordigia. Nei confronti di Thomas “Babe” Levy, un universitario dedito unicamente alle passioni tipicamente giovanili come lo studio, lo sport e l’amore, l’arma del destino è una lente di ingrandimento, che lo punta ingigantendo a dismisura la sua fragile figura di uomo qualunque: è la potenza di una sfortuna particolarmente spietata a forgiare gli eroi, ossia quei personaggi la cui umanità, da passivo attributo, diviene un’energia combattente, spremuta fino all’ultima goccia per la sopravvivenza del cuore. Questa storia di spionaggio è un quadro inquieto e vivo, le cui trame non sono solo l’intreccio di un thriller, ma sono un sistema vibrante che attraversa le fibre dei legami affettivi, facendone sfumare i contorni e facendone esplodere l’anima in una pioggia di sudore, lacrime e sangue. Il film di Schlesinger non è facilmente ascrivibile a un genere ben definito, per la complessità della trama, che presenta molti momenti d’azione con venature spionistiche, ma soprattutto perché il suo nucleo forte, a livello emotivo e concettuale, è il confronto (inevitabilmente teso, per i fantasmi del passato che fa riemergere) tra uno studente ebreo e un ex nazista (che in fondo non è tanto ex), il quale, lungi dall’aver pagato per i propri crimini, continua a commetterne. A rendere ancora più coinvolgente questo aspetto della vicenda contribuiscono sicuramente le interpretazioni dei due attori protagonisti, Dustin Hoffman e Lawrence Olivier, tra i massimi talenti delle loro rispettive generazioni, intensi e credibili nel rappresentare gli sconvolgimenti umorali dei loro personaggi (soprattutto nelle scene della “seduta dentistica” e dell’acquedotto).