Saggia la scelta dei programmatori del Trieste Science + Fiction Festival: al termine di una manifestazione cinematografica che ha posto in vetrina diverse opere riconducibili al genere da una prospettiva maggiormente filosofica, riflessiva, coerente perciò col metodico, lento progredire del racconto, ci si è voluti congedare dal pubblico triestino con una botta di adrenalina pura. Ecco arrivare, quindi, un film di chiusura come Overlord di Julius Avery, che narrativamente parlando viaggia ad un ritmo pazzesco e che ritroveremo a breve nelle sale, dopo questa stuzzicante anteprima festivaliera.
Prodotto da J.J. Abrams con la sua Bad Robot, Overlord presenta almeno in parte quel marchio di fabbrica, le cui prerogative possono essere riassunte nella bella confezione visiva, nella narrazione avvincente dall’inizio alla fine, nei continui richiami al cinema degli anni ’80 e alla sua vivace messa in scena.
L’incipit è una sorta di controcanto delle battute iniziali di Salvate il soldato Ryan, epopea bellica attraverso la quale Spielberg aveva introdotto un crudo, impressionante realismo, nel descrivere le scene di combattimento più concitate e feroci. La cornice era rappresentata nello specifico dalle fasi più drammatiche dello sbarco di Normandia. Ed anche nel lungometraggio di Julius Avery il cosiddetto D-Day è grande protagonista, solo che nel mirino nemico, come rimarcato beffardamente dalla battuta di un soldato, non ci sono le truppe da sbarco alleate dislocate lungo le spiagge di Francia bensì alcuni paracadutisti americani, impegnati in una missione assai rischiosa. L’avventura ha perciò inizio nei cieli. Il biglietto da visita del cineasta australiano è già qui tra i più truculenti: Julius Avery ci mostra aerei che esplodono, corpi crivellati di colpi, lanci disperati dei paracadutisti superstiti, tanta altra macelleria pure a terra dove implacabili pattuglie tedesche sono pronte a falciare i pochi incursori arrivati incolumi al suolo.
Dal realismo all’iperrealismo. Più il tesissimo racconto cinematografico ricavato da un buon copione di Billy Ray si dipana, più risulta evidente che Julius Avery è interessato a una rappresentazione delle situazioni belliche, dei corpi martoriati, dei confronti sempre più duri e cruenti tra i protagonisti della storia, la cui parossistica violenza richiami tanto l’hard boiled che il più cupo universo fumettistico, per gli sconvolgenti e continui eccessi. Nel corso della missione si scoprirà infatti che all’interno della loro base i nazisti, fomentati da un truce dottore simil-Mengele e da un altrettanto crudele ufficiale delle SS, stanno compiendo atroci studi medici sulla popolazione locale per ottenere soldati pressoché invincibili, coi quali rilanciare la declinante potenza militare del Reich millenario. Neanche a dirlo, sono essere umani zombificati e trasformati in mostruosi assassini il risultato del grottesco esperimento.
Per non rivelare troppo della trama, eviteremo qui di aggiungere ulteriori dettagli sulla missione alleata e sui personaggi che ne fanno parte. Ma vogliamo comunque sottolineare la felice ibridazione tra sequenze da war movie, avventura e orrore puro. Far interagire tra loro (o sovrapporre completamente) zombi e nazisti non è certo una novità, per il grande schermo. Si pensi ad esempio all’eccentrico, sfiziosissimo L’occhio nel triangolo di Ken Wiederhorn, dove a palesarsi erano addirittura zombi in uniforme tedesca capaci di vivere sott’acqua e da lì tendere agguati! Ebbene, nel riprendere (e rivitalizzare) tale filone Julius Avery si è dimostrato in grado di creare un valido film di intrattenimento, la cui tensione (irrobustita peraltro da un’incalzante colonna sonora) appare costante, vibrante, dalla primissima inquadratura fino all’epilogo.