L’uomo che verrà (Festival di Roma 2009 In Concorso)
Dopo “Il vento fa il suo giro”, l’ottimo e pluripremiato film d’esordio, Giorgio Diritti torna con una pellicola in cui dimostra d’aver raggiunto una solida maturità.
Dopo “Il vento fa il suo giro”, l’ottimo e pluripremiato film d’esordio, Giorgio Diritti torna con una pellicola in cui dimostra d’aver raggiunto una solida maturità.
Nell’inverno del quarantatré a Marzabotto, sulle pendici di Monte Sole, nella bassa pianura Padana, avvenne uno dei rastrellamenti più violenti operati dai nazisti in Italia, nei confronti di una piccola comunità contadina sospettata di fiancheggiare la resistenza, tanto che l’episodio passò alla storia come strage. Da segnalare innanzitutto la sobriètà dello stile di Diritti, sospeso tra l’iperrealismo alla “Novecento” di Bertolucci, con riferimento ai dialoghi rigorosamente in dialetto e sottotitolati e ad alcune evidenti sequenze-citazioni, e il realismo bucolico di Olmi, per il tono poetico-documentaristico nel restituire il respiro della quotidianità contadina.
Particolarmente apprezzabile inoltre l’uso della mdp, che seppur spesso, e a ragione, molto mobile (splendidi piani-sequenza, nonché notevoli carrelli), anche nelle situazioni più critiche – i momenti dei rastrellamenti – non cede, se non raramente, al consunto manierismo della camera a spalla traballante. Ottima la fotografia, soprattutto degli esterni, sospesa tra l’azzurino del cielo padano e il giallo-verde dell’autunno di montagna.
Il film è evidentemente corale perciò, non per demerito, non spicca la prestazione di Maya Sansa, che pur ha fornito un’ottima prova. Stupefacente invece la bambina muta (Greta Zuccheri Montanari) che scandisce l’andamento emotivo degli eventi, fino a chiudere il film con quel lieve canto di speranza, che ricorda non poco, quello del piccolo Vito Corleone, appena giunto a New York. E poi non sarà mai esauribile il compito di testimoniare ciò che la memoria storica rischia, se non pungolata, di dimenticare.