Era il 20 luglio 1969 quando, dopo una vasta gamma di tentativi falliti e speranze disilluse, un uomo mise piede sulla luna. Un’emozione unica nel suo genere, un’impresa eroica e rivoluzionaria, la prova lampante che l’Uomo – inteso come la più piccola parte dell’universo – potesse lasciare il segno nella Storia dell’umanità, sovvertendola dall’interno. Il primo a voler guardare oltre i confini del mondo allora conosciuto era stato Galileo Galilei che, con l’invenzione del cannocchiale, si era avvicinato talmente tanto agli astri del cielo, da aver pensato di poterli studiare e dominare. Ed era stata proprio la brama di possesso a spronare gli scienziati a cercare un modo per varcare i confini dell’atmosfera e sfidare le leggi della natura.
Dopo secoli impiegati a raggiungere l’obiettivo, Neil Armstrong, una sorta di moderno Ulisse, dedicò la sua intera esistenza a rincorrere l’ambizione di realizzare una missione epopeica degna dei grandi eroi classici. La perdita dell’amata figlia, infatti, lo aveva portato a rinchiudersi in un isolamento volontario che era lentamente sfociato nella brama di essere lanciato nel vuoto per allontanarsi da un dolore troppo grande. Lì, circondato soltanto da buio e silenzio, laddove i ricordi erano gli unici compagni di viaggio, Armstrong poteva finalmente sfogare la sua rabbia repressa e guardare tutte le cose da una prospettiva diversa, sentendosi soltanto uno dei minuscoli circuiti di una macchina enorme.
Trasponendo per il grande schermo l’omonimo volume di James R. Hansen, il regista Damien Chazelle (tre volte premio Oscar per Wishplash e autore dell’incantevole La La Land) con First Man – Il Primo Uomo racconta il momento in cui Armstrong – interpretato da un intenso Ryan Gosling – compie un piccolo passo per l’uomo e un grande passo per l’umanità, in una sorta di guerra fredda costante e perenne davanti alla quale egli stesso sembra prostrarsi.
Le musiche di Justin Hurwitz accompagnano il protagonista nelle sue battaglie quotidiane tenendosi sempre a debita distanza: mai invasive nei confronti della narrazione, mai ridondanti, mai banali. I “naviganti del cielo” vengono dunque presentati attraverso le loro azioni, le loro rinunce e i loro sacrifici tanto che le lacrime, il dolore e la costante paura del fallimento, assumono lo stesso rilievo di protagonisti in carne e ossa e si rivelano, piuttosto, i veri villain di turno.