Amen., un film del 2002 diretto da Costa-Gavras. Girato tra Germania, Francia e Romania, il film è basato sull’opera di Rolf Hochhuth del 1963 Il Vicario. Il segno di interpunzione (il punto) fa parte del titolo; amen è una parola di origine ebraica che significa “così sia”. Nella versione in lingua tedesca il film è stato distribuito con il titolo Der Stellvertreter (in italiano Il Vicario). Oltre alle stesse critiche che hanno accompagnato il testo teatrale Il Vicario del 1963 per le responsabilità della Chiesa cattolica nei confronti dell’eccidio nazista, responsabilità di non aver pubblicamente denunciato ciò che si supponeva stesse accadendo nei campi di concentramento, il film ha creato ulteriori controversie per il simbolo usato per la locandina (realizzato dal fotografo italiano Oliviero Toscani), consistente in una croce che diventa uncinata andando a rassomigliare ad una svastica, o al contrario una svastica che si allunga divenendo una croce. Con Ulrich Tukur, Mathieu Kassovitz, Marina Berti, Marcel Iures, Michel Duchaussoy.
Sinossi
Mentre si occupa della fornitura ai campi di sterminio di materiale da usare nelle camere a gas, Kurt Gerstein, chimico e ufficiale delle Ss, denuncia i crimini nazisti agli alleati, a Pio XII e agli stessi tedeschi. Kurt mette a repentaglio la sua vita ma l’unico a prestargli ascolto è il giovane gesuita Riccardo, voce isolata che si scaglia contro l’indifferenza delle gerarchie ecclesiastiche.
Costa Gravas riapre una ferita non ancora rimarginata: il ricordo di quanto avvenne nei campi di sterminio, il silenzio ingiustificabile di Pio XII e il rifugiarsi di alcuni ufficiali delle SS presso conventi e monasteri. Quella stessa Chiesa che, riparandosi dietro un mutismo colpevole, non ha voluto ascoltare le denunce di Kurt Gernstein (un ufficiale delle SS che viene destinato all’uso del gas Zyklon B e che, una volta scoperta la sua vera funzione, fa di tutto perché il mondo intero venga a conoscenza degli orrori perpetuati nei campi di concentramento), è quella che ha permesso a molti criminali di guerra di restare impuniti. Interessante la scelta di parlare degli orrori perpetuati a danno degli ebrei nei campi di sterminio nazisti senza mai mostrarli direttamente; in questo modo la rappresentazione dell’orrore assume tinte ancor più violente e crude (esemplare, a questo proposito, la sequenza degli ufficiali SS che assistono, attraverso un piccolo spioncino appositamente installato nella parete per contemplare le agonie dei condannati, all’esecuzione nelle docce commentando senza espressività alcuna: “È disgustoso.”). Ciò che l’occhio non può vedere può essere visto, ancor più vividamente, dalla mente, continuando a vivere nel ricordo. Tutta la prima parte è serratissima: la verità cerca di farsi strada con grande fatica, scontrandosi con la tragica inadeguatezza della diplomazia internazionale di fronte a fatti che trascendono la mente umana; non solo il Vaticano, ma anche la Svezia e gli Stati Uniti sono accomunati nella condanna, tutti abituati a muoversi con cautela e intenti ai propri calcoli. C’è la vibrante contrapposizione fra il senso di colpa di chi non sopporta di essere neanche l’ultima rotella di un ingranaggio infernale e l’opportunismo di chi resta defilato per poter poi dire “non sapevo nulla”. Ci sono anche invenzioni registiche notevoli: l’Europa orientale sembra un intreccio infinito di linee ferroviarie percorse da treni merci che partono pieni e tornano vuoti. Vigorosa opera di denuncia del sempre grande Costa-Gavras che apre gli occhi al pubblico su alcune lacune dei libri di storia: l’infame progetto T4 (vero e proprio crimine e non atto di pietà, come dice qualcuno ancora oggi) e il silenzio di una parte della Chiesa.