Finalmente una bella sorpresa alla Festa del cinema di Roma, dove un sempre grande, ma in questo caso particolarmente in forma Viggo Mortensen arriva ad allietare gli animi e a infondere un po’ di sano buon umore. Peter Farrelly costruisce intorno al suo bellissimo personaggio e a quello meno potente, ma altrettanto ben scritto, di Mahershala Ali un road movie dolce e divertente che trova il modo di affrontare un tema ormai super abusato e doloroso come quello del razzismo con leggerezza e delicatezza, pur senza rinunciare a trattarne la profondità e a farlo con intelligenza. Farrelly, dimostrando di saper andare ben al di là della commedia demenziale (Tutti pazzi per Mary, Scemo e più scemo), riesce a indignare e a divertire lo spettatore contemporaneamente, mettendolo davanti a una realtà, che per quanto ambientata negli Stati Uniti del 1962, purtroppo è ancora tristemente molto attuale, se non nei risvolti pratici, certamente in quelli ideologici.
Ancora una storia vera, quella dell’amicizia improbabile creatasi tra Tony Vallelonga, un grosso e rozzo buttafuori italiano apparentemente villano e ignorante ma dal cuore buono e molto meno ottuso di quello che sembra, e Don Shirley, raffinato pianista nero, elegante, impettito ed estremamente acculturato. I due, in occasione del tour del pianista che assume Tony come autista, intraprendono un viaggio di due mesi, che li porta ad attraversare il meridione del paese, trovandosi, sempre di più man mano che si spostano a sud, di fronte al fatto che l’uguaglianza tra neri e bianchi, non solo non è ancora stata raggiunta ma è ancora un’utopia. Il Green Book che dà il titolo al film è una “guida per vacanze senza problemi” per neri, con su scritti tutti i posti in cui sono accolti, dato che l’ipocrisia con la quale Shirley viene invitato a suonare per intrattenere i ricchi bianchi non impedisce che negli stessi luoghi non sia permesso ai neri di mangiare nelle stesse sale, di utilizzare gli stessi bagni, di provare gli stessi vestiti nei negozi. Una bruttura che non finirà mai di sconcertare. E mentre procedono attraverso tali meschinità e bassezze, Tony e Shirley si confrontano tra loro, conoscendosi sempre meglio e mettendo in gioco le loro diversità, scoprendo che poi, in fin dei conti, tanto diversi non sono. E lo fanno riducendo fino ad annullare quella distanza che poi è causa della mancanza di empatia e dell’indifferenza che arriva fino al disprezzo dell’altro da sé, di quell’altro che non si conosce, che non si sa che, per quanto “altro”, non è altro che un individuo che sente, pensa, prova esattamente come te.
Don e Tony fanno quello che dovrebbe fare chiunque affinché non esistesse più alcun razzismo. Si avvicinano, si esplorano, si scoprono, si guardano. E si vedono. Quello che cambierebbe il mondo e che purtroppo troppo spesso si ha paura di fare. Shirley sceglie consapevolmente di affrontare quelle situazioni in cui sa che verrà discriminato, umiliato, mortificato. E quando Tony chiede perchè, perché lo fa se può non farlo, gli viene risposto: “Perché non basta il talento, ma ci vuole coraggio per cambiare l’animo delle persone”.
Green Book riesce straordinariamente a unire l’intrattenimento al senso di pienezza e di appagamento dato dalla verità, che ci fa vedere, nel bene e nel male, una realtà rappresentata in modo tale da metterci davanti alle sue aberrazioni ma, nello stesso tempo, da poter infondere speranza nell’umanità. Cosa che oggi come oggi è una specie di piccolo miracolo.