«”Caribbean Basterds”, atteso ritorno sul grande schermo di Enzo G. Castellari, prova la via della distribuzione nostrana, dopo un buon riscontro ottenuto all’estero».
Pensato per il mercato internazionale, poiché girato interamente in inglese e in una location esotica, Caribbean Basterds, atteso ritorno sul grande schermo di Enzo G. Castellari (n.a. di Enzo Girolami) a distanza di quindici anni da Jonathan degli orsi, prova la via della distribuzione nostrana, dopo un buon riscontro ottenuto all’estero. Il cineasta romano, autore di autentici cult come Il cacciatore di squali (1979), Fuga dal Bronx (1983), La polizia incrimina, la legge assolve (1973) e soprattutto Quel maledetto treno blindato del 1978 (dal quale Tarantino ha forgiato il suo fortunatissimo Inglorious Basterds), firma la regia di un b movie vecchia scuola che, accodandosi alla scia del progetto di rivalutazione messo in atto dalla coppia Tarantino-Rodriguez, vuole rendere omaggio alla cinematografia di genere degli anni Settanta-Ottanta e ai suoi bistrattati interpreti. La pellicola racconta le scorribande di tre ragazzi (Roy, Linda e Josè), figli di ricchi commercianti d’armi, che si trasformano in “pirati della giustizia” per una forma di ribellione nei confronti delle loro famiglie, finendo coinvolti in un traffico di droga. Il tutto inizia solo per scherzo, ma diviene progressivamente, per necessità e per avidità, un gioco crudele e sempre più pericoloso. I protagonisti – i due fratelli Roy e Linda (che vivono un rapporto quasi ossessivo tra di loro), ed il fidanzato di Linda (Josè) – daranno così vita ad una serie di rapine, violenze e brutalità senza fine che li trasformerà da giustizieri in spietati criminali, fino alla catarsi finale.
Plot alla mano ci si rende subito conto che Caribbean Basterds non ha alcuna pretesa autoriale, ma solo un desiderio irrefrenabile di mettersi in mostra agli occhi di una platea di nostalgici fan di un cinema che è stato troppo presto dimenticato. La consideriamo, a conti fatti, una scommessa produttiva (low budget realizzato con fondi privati e in digitale) ma, allo stesso tempo, un esperimento e un puro divertimento. Ma al di là di questo, il film non può davvero spingersi oltre, vuoi per le abissali lacune e gap narrativi derivanti da una sceneggiatura che a lungo andare cede sotto il peso dell’inconsistenza e della ripetitività, vuoi per i limiti espressi da una messa in scena che il più delle volte appare arrangiata e poco credibile. La pellicola ci mette un’eternità e prendere quota, rimanendo parcheggiata per quasi un’ora abbondante nel tentativo, raramente riuscito, di trarre spunti originali e variazioni drammaturgiche dalle sue dichiarate fonti d’ispirazione: dall’inarrivabile Arancia Meccanica (i tre protagonisti compiono le loro azioni criminali vestiti da drughi armati di mazze da baseball) a film come Trappola in fondo al mare e Point Break (il trio compie saccheggi e violenze, spacciandosi per un’orda di pirati). Gli ingredienti tipici della cinematografia di genere ci sono tutti e rappresentano la linfa vitale della sconquassata sceneggiatura, il cui unico merito è quello di non piegarsi mai alle bigotte regole dell’auto-censura. Sesso, violenza, corruzione e droga, diventano di conseguenza il motore portante di una narrazione che prende rapidamente le sembianze di un mix incontrollato e squilibrato di fatti e situazioni, tenuti insieme a fatica.
Il film non si pone limiti e punta il suo sguardo “pornografico” sulle cose e sulle persone, così stupri, orge e rapporti incestuosi, trovano spazio in ciclica rotazione nel plot. Il risultato diventa logorroico e fin troppo prevedibile, con uno schema narrativo ridotto all’osso che comincia a viaggiare su una stanca successione di violenze fisiche e mentali, che si alternano a scene di acrobazie bollenti sul materasso. Un ricorso cinico e ostentato alla violenza che per tutto il film appare però iperbolicamente forzato sino ai limiti della parodia. L’intento di Caribbean Basterds è forse quello di intrattenere più che shockare il pubblico e, se questo è il vero obiettivo, allora non lo si può bocciare completamente. Quando il film abbandona l’elegia della violenza, scegliendo la via dell’action movie puro e semplice, cambia improvvisamente pelle grazie ad inseguimenti, sparatorie, agguati e risse, che alimentano in maniera convincente sequenze dal forte impatto visivo, come quelle degli scontri a fuoco nella villa a bordo piscina, o le sparatorie fra le strade tra narcotrafficanti e polizia, oltre al bagno di sangue e piombo dell’epilogo alla Natural Born Killers.Scene d’azione che se da un lato funzionano perché ritmicamente e stilisticamente pregevoli, dall’altro vengono depotenziate da soluzioni di montaggio stucchevoli e da evidenti errori di continuità.
Francesco Del Grosso
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