‘Kursk’ la tragedia del sottomarino russo affondato nel 2000
Sovrapponendo diversi piani di rappresentazione, uno più intimo e umano, l’altro più politico, Thomas Vinterberg racconta nel film prodotto da Luc Besson, la tragedia dell’omonimo sottomarino russo sprofondato nel Mare di Barents nell’agosto del 2000.
Kursk, il film di Thomas Vinterberg, è ora visibile su Sky Cinema e Now Tv.
Sovrapponendo diversi piani di rappresentazione, uno più intimo e umano, l’altro più politico, ThomasVinterberg racconta in Kursk, suo ultimo lavoro prodotto da Luc Besson, la tragedia dell’omonimo sottomarino russo sprofondato nel Mare di Barents nell’agosto del 2000 a causa del surriscaldamento che ha portato all’esplosione di uno dei missili che trasportava.
Il film fu presentato in anteprima al Festival di Toronto nel settembre 2018, e il mese successivo alla Festa del Cinema di Roma.
Kursk la trama
Il film è ispirato all’angosciante storia vera del K-141 Kursk, il sottomarino russo a propulsione nucleare che affondò nel Mare di Barents nell’agosto del 2000. Mentre 23 marinai lottavano per la sopravvivenza a bordo del sottomarino, le loro famiglie combattevano disperatamente contro gli ostacoli burocratici e le scarse probabilità di salvarli.
Il 10 agosto del 2000 il Kursk, orgoglio “inaffondabile” della Flotta Settentrionale della Marina russa, intraprende la prima esercitazione in dieci anni e le manovre coinvolgono 30 navi e tre sottomarini. Due giorni dopo, due esplosioni così potenti che perfino i sismografi in Alaska le registrano, affondano il sommergibile nelle gelide acque del Mare di Barents. Solo 23 dei 118 marinai a bordo sopravvivono e, nei nove giorni successivi, il mondo intero segue la drammatica vicenda con il fiato sospeso
Tra realtà e finzione
Uno degli interpreti principali, Matthias Schoenaerts, è stato colui che ha posto la sceneggiatura di Robert Rodat all’attenzione del regista. Già noto per aver scritto Salvate il soldato Ryan, Rodat ha lavorato affiancato da un cast tutto europeo composto inoltre da Lea Sedux, Colin Firth e Peter Simoniache. Il regista danese, essendosene sentito particolarmente attratto, ha dichiarato esplicitamente di aver costruito il film sulla base della ricerca di un equilibrio tra realtà e finzione che gli consentisse di dare il suo contributo a questa storia, trattando dei temi che comunque da sempre sono stati cardine del suo cinema, la famiglia, la perdita, l’ingiustizia, la morte.
Vinterberg ambienta il suo film in un triplice contesto, quello all’interno del sottomarino, dove i marinai sopravvissuti resistono strenuamente tra la vita e la morte; quello all’esterno, dove le famiglie, le mogli, i figli dei militari a bordo li attendono disperati e sperano fino alla fine; infine, quello dei vertici politici nazionali e internazionali, in cui si intraprendono le varie trattative per tentare, purtroppo invano, il loro salvataggio. È piuttosto efficace la componente spettacolare della messa in scena, tutta la parte relativa alle esplosioni risulta essere piuttosto coinvolgente e di sicuro tiene lo spettatore in uno stato di tensione non indifferente, alternato a veri e propri momenti di sgomento; ed è forte il senso di claustrofobia e di angoscia trasmesso dalla condizione di costrizione sotto la pressione di centinaia di metri di mare profondo in cui si trovano i malcapitati.
Lo sguardo del regista
È significativa l’affermazione di Vinterberg che, durante la conferenza stampa di Roma, aveva detto di aver voluto rappresentare il vissuto di un uomo mentre il suo tempo sta finendo. Il cineasta si mostra convinto che il cinema e la letteratura, l’arte in genere, debbano indagare tutto ciò che riguarda la morte e i momenti in cui la si vive, la sua attesa, la consapevolezza, la paura. E in effetti in questo caso, egli è riuscito abbastanza bene nel suo intento. ci si identifica facilmente e ci si emoziona vedendo queste persone mentre pian piano esauriscono l’ossigeno, il loro sforzo sempre maggiore nel respirare, il progressivo perdere energie e l’abbandono da parte del proprio corpo, mentre la coscienza rimane comunque vigile e terrorizzata, nell’attesa che l’acqua li travolga.
Ed è bravo il registaa non soffermarsi sul momento preciso della fine ma a tallonarlo, così da favorire l’identificazione con il loro stato d’animo, lasciando all’immaginazione dello spettatore ciò che ognuno di quegli uomini deve aver vissuto comunque in una sua intimità, e in questo modo consentendogli di sentirsi vicino a loro anche in quell’intimità stessa. Ovviamente la ricostruzione è in gran parte affidata all’immaginazione, non si può sapere cosa sia accaduto in quello spazio ristretto durante quelle ore, quali siano state esattamente le parole dette, ma il tutto è abbastanza credibile e coinvolgente.
I Personaggi
Vinterberg ha rivelato che il personaggio interpretato da Mathias Schoenaerts è, nella sua concezione, rappresentante di tutti i marinai che hanno lasciato dei figli morendo in quella tragedia. Ma l’uomo al quale si ispira, che davvero aveva scritto una lettera commovente poi diventata una sorta di manifesto nel loro paese, in realtà non aveva figli. Dunque, è uno degli esempi del risultato di quella ricerca di equilibrio tra realtà e finzione che consente un racconto coerente e compatto della vicenda.
La ricostruzione del regista
Al di là dello svolgersi della tragedia e di come sia andata all’interno del sottomarino, sono altrettanto tragiche le ragioni per cui non è stato possibile salvare i militari della marina russa a bordo del Kursk. E qui si delinea il piano più politico attraverso il quale si muove la narrazione del film.
I vertici russi non hanno accettato gli aiuti internazionali provenienti in particolare dall’Inghilterra, per evitare di fare entrare in contatto paesi stranieri con elementi segreti probabilmente presenti a bordo e, come si ipotizza in un discorso enunciato da Colin Firth in una scena del film, forse per evitare l’umiliazione derivante dal dover ammettere la loro insufficienza nelle operazioni. La Russia era infatti in congrue difficoltà economiche e gli strumenti a sua disposizione erano obsoleti e in uno stato di mantenimento precario. Degli armamenti, quindi, assolutamente non idonei, oltre al fatto che quelli che erano precedentemente in loro possesso erano stati venduti ad altri paesi.
Vintenberg ricostruisce questo contesto abbastanza fedelmente. A questo punto, unisce il piano umano a quello politico esprimendo la sua rabbia e il suo senso di ingiustizia di fronte a tale assurdità nelle modalità di gestione della situazione che hanno portato alla morte di tante persone, attraverso la purezza di un bimbo, che lui stesso dice, presenta in mezzo a tanto squallore un punto di vista non corrotto.
Vintenberg e Firth
Ancora, il regista si è prodigato in una serie di lodi lusinghiere e entusiaste nei confronti di Colin Firth. Quando gli è hanno chiesto perché lo abbia scelto, ha affermato che lo vorrebbe sempre e comunque per qualsiasi ruolo, tanto lo stima e lo considera un attore meraviglioso. L’interprete inglese dimostra la sua collaudata esperienza offrendo in effetti un’ottima prestazione, la cui durata complessiva è abbastanza breve, ma compensata da una prova decisamente riuscita.
Vinterberg ha raccontato di essersi commosso durante le riprese, mettendo a confronto per una giornata intera Firth con il vero David Russell, l’ufficiale della Marina inglese da lui interpretato. Insomma, 120 minuti tesi e fitti, quelli di Kursk, che si dimostra un prodotto convincente che può considerarsi riuscito, per il quale si deve riconoscere al regista danese una buona dose di autenticità e di capacità di empatia.
I due registi Fabio e Damiano D’Innocenzo raccontano della loro nuova miniserie ‘Dostoevskij’
Anno: 2018
Durata: 118'
Distribuzione: Videa
Genere: Drammatico
Nazionalita: Francia, Belgio, Lussemburgo
Regia: Thomas Vinterberg
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