Che quello di Stefano Sollima fosse un cinema adatto agli standard del mainstream americano non è una sorpresa. Fin dall’esordio sul grande schermo, avvenuto con A.C.A.B.: All Cops Are Bastards, a sorprendere non era stata solo l’abilità di raccontare una crime story con il ritmo e il taglio – dei personaggi e della storia – simili a quelli di film e serie tv provenienti d’oltreoceano. Ciò che già allora aveva fatto la differenza con i pari colleghi consisteva nella capacità della macchina da presa di impossessarsi dello spazio urbano della città eterna facendone non solo uno dei protagonisti del film, ma soprattutto uno strumento per raccontare i personaggi e comprenderne le azioni.
Da questa ottica, Soldado rappresentava una verifica dei contenuti enunciati in fase di premessa: in quanto si trattava di capire se e in che modo il dispositivo cinematografico del regista avrebbe fatto fronte all’esigenza di rappresentare uno spazio come quello del deserto a cavallo tra Messico e Stati Uniti in cui è ambientato il film, caratterizzato da una complessità dimensionale, ambientale e anche logistica diversa da quella della città capitolina, set abituale dei suoi lavori. Inoltre, bisognava evitare di farsi condizionare dal fatto di venire dopo Sicario,e cioè di un’opera e di un autore, Denis Villeneuve, assurti a massima considerazione da uno stuolo di appassionati sparsi in ogni angolo del mondo.
Di fatto il nuovo capitolo di quella che può considerarsi una vera e propria saga, pur contando ancora su Matt Graver (Josh Brolin) e Alejandro Gillick (Benicio Del Toro) come pure sulla penna di Taylor Sheridan, si segnala per spostamenti di senso che in parte lo rendono un prodotto autonomo dal suo predecessore, a cominciare dalla mancanza di continuità temporale con il lungometraggio del regista canadese, ma soprattutto per la differenza di sguardo applicata da Sollima alla materia narrativa. Se per Villeneuve la frontiera tra Stati Uniti e Messico diventava il simbolo della linea che separa il bene dal male, in conformità a una visione tutta morale dell’esistenza, nel film di Sollima questo punto di vista lascia il posto a contorni meno netti (delle personalità dei personaggi, così come della geopolitica territoriale) e a una visione del confine – materiale e psicologico – che non esiste più, ingoiato dalla spirale di violenza scatenatasi dalla contesa. Più votato all’azione che alla riflessione, il cinema di Sollima si addentra nel cuore di tenebra riconoscendolo innanzitutto nella wilderness del paesaggio americano, elevato a comune denominatore dell’anarchia che regna nelle vite dei personaggi. Uscito negli Stati Uniti nella scorsa estate il film di Sollima ha già incassato più di chi lo ha preceduto e siamo pronti a scommettere che sarà così anche da noi. Spettacolo da vedere sul grande schermo, Soldado è espressione di un regista in piena forma.