In viaggio con Adele di Alessandro Capitani, il film che fa da pre-apertura alla Festa del Cinema di Roma, racconta un percorso che, attraversando la Puglia, attraversa la vita dei due protagonisti, e la modifica, la trasforma, come in tutte le narrazioni on the road che possano dirsi riuscite. È l’incontro, anche questo già visto al cinema e nella letteratura, di due solitudini, in due diverse generazioni, che si rispecchiano: esce in sala lo stesso giorno Children act-Il verdetto: tutt’altra storia, tutt’altro genere, ma i bisogni, gli stessi. Lì un dramma con l’impeccabile Emma Thompson (Fiona), qui una commedia con l’agitatissimo Alessandro Haber (Aldo), che ansima, sbuffa, canticchia per tenere a bada l’ansia. Lì, l’incontro con un figlio mai avuto e rimpianto, qui con una figlia che non si sapeva di avere. Aldo è un attore, prigioniero dello stesso ruolo recitato da decenni a teatro (anche la Thompson si trova ostaggio del suo ruolo di giudice familiare).
Dopo l’esordio del film che lo vede esultare per una parte al cinema con Patrice Leconte (ottimo cameo, omaggio alla commedia francese di Capitani) da strappare niente di meno che a Toni Servillo, Aldo deve recarsi a Foggia dove è morta Margherita, la sua fidanzata di trent’anni prima, forse l’unica donna che ha veramente amato. Ma una seccatura è lì ad aspettarlo: la figlia di Margherita, e sua, Adele, (Sara Serraiocco), di cui non conosceva l’esistenza. Il fastidio è amplificato dai comportamenti di Adele che, ventottenne, bambina in un corpo adulto, si veste con una tuta da coniglietto, si muove e parla a sproposito, appiccica bigliettini ovunque. Aldo non ama le sottigliezze; per lui è scema e basta e deve trovare il modo di liberarsene al più presto, perché Parigi e il suo futuro lo aspettano. Si può anche saltare la serata del compleanno di Leconte (dove poi sapremo che Servillo invece ci sarà) ma non il provino con il regista francese. Inizia così, di malavoglia, il viaggio con Adele, per accompagnarla da improbabili parenti, lui sempre più di fretta, lei che non sa tacere.
Ce ne mettono entrambi ad entrare nel mondo dell’altro, dell’altra, ma noi sappiamo che è solo questione di tempo. Prima o poi succederà, come è successo in Zoran, il mio nipote scemo di Matteo Oleotto nel 2013. Le disavventure lungo la via movimentano viaggio e vicenda, ma ciò che fa davvero ridere il pubblico (e poi un po’ commuovere) è l’interpretazione degli attori, la loro sintonia, quel passaggio morbido dalla sopportazione alla curiosità, dall’indifferenza alla vicinanza che, se pur atteso, ha il sapore della sorpresa. Merito anche della scrittura di Nicola Guaglianone, attento, come il regista, al tema della diversità. Anche Aldo impara ad ascoltare Adele, a capire che quei monotoni post-it non sono una semplice mania, ma il modo per conoscere e controllare il mondo, le cose, le opinioni e i sentimenti, per decifrarli ed esserne più sicura. È la sindrome di Asperger che le compromette ogni relazione e le impedisce ogni serenità. Ma lo stesso egocentrico Aldo, senza saperlo, vive una sua forma di autismo sentimentale, chiuso in radicate idiosincrasie, ipocondrie e ipocrisie.
Non riesce a confessare la sua paternità, ma via via che la macchina percorre le distese del Sud, abitate solo dalle pale eoliche a creare un paesaggio, pur nella sua bellezza, indifferente, Adele svela la fragilità della sua condizione e quella di Aldo, un povero uomo solo, più solo nella stupida convinzione di bastarsi.
Piccola curiosità: mentre i due lasciano il distributore di benzina, compare come un’istantanea apparentemente straniante, quella di una ragazza sovrappeso, seduta, vestita da sposa. Si tratta di una citazione del cortometraggio Bellissima dello stesso Capitani, con cui ha vinto il David di Donatello due anni fa. Lei è Giusy Lodi, protagonista di una storia, che in soli dodici minuti, sa parlare di diversità, dell’essere esclusi e poi accettati. Tema che il regista ha evidentemente a cuore, tanto che di In viaggio con Adele, dice: “Aldo capirà una cosa molto semplice ma nello stesso molto profonda: che non serve a nulla condannare tutto ciò che non è “normale”. Bisogna celebrare l’unicità ed essere felici ogni volta che qualcuno libera la propria immaginazione”
Bella la colonna sonora di Michele Braga; struggente il brano in conclusione del film, Life on Mars, interpretata dalla cantante norvegese, Aurora.