La guerra è dichiarata, un film del 2011 diretto da Valérie Donzelli, con Brigitte Sy, Elina Lowensohn, Michèle Moretti, Philippe Laudenbach, Bastien Bouillon. La regista, al suo secondo lungometraggio dopo La Reine des pommes, racconta la vicenda drammatica di una coppia che lotta per salvare il proprio bambino malato. La particolarità è che si tratta di un’esperienza realmente vissuta dalla stessa coppia che lo ha scritto, diretto e interpretato. Il film è stato nominato come miglior film straniero francese nell’84ª edizione della cerimonia degli Oscar, senza entrare nella cinquina finale. Il film è stato presentato alla Settimana Internazionale della Critica a Cannes il 12 maggio 2011. Ha ottenuto, inoltre, sei candidature a Cesar. In Italia al Box Office La guerra è dichiarata ha incassato nelle prime 2 settimane di programmazione 126 mila euro e 40,2 mila euro nel primo.
Sinossi
Juliette e Romeo vivono la loro grande storia d’amore, si amano come se fosse ancora il primo giorno e la loro favola è diventata ancora più bella nel momento in cui hanno avuto il primo figlio, Adam. Ma il risveglio dal sogno sarà traumatico, tutto si trasformerà in incubo e caos, in una guerra impari contro la malattia che affliggerà il bambino. I due giovani dovranno imparare a sostenersi, con tutta la forza e il coraggio di cui sono capaci. Diventeranno adulti in fretta, nei loro corpi di giovinezza devastata.
La recensione di Taxi Drivers (Elisabetta Colla)
Film-rivelazione alla Settimana della Critica di Cannes 2011, candidato francese agli Oscar 2012, sei nomination ai César, selezionato al Torino Film Festival (e chi più ne ha più ne metta), arriva nelle sale, grazie alla sempre attenta Sacher Distribuzione di Nanni Moretti, La guerra è dichiarata – La guerre est déclarée, doloroso racconto autobiografico dell’attrice-regista Valérie Donzelli (alla sua seconda prova autoriale dopo La reine des pommes del 2009) e del suo ex-compagno Jérémie Elkaïm, alle prese con la battaglia più dura da affrontare: la lotta per la vita del loro piccolo Adam, al quale viene diagnosticato un raro tumore al cervello a 18 mesi.
“Sui nomi scelti per i protagonisti del film Jérémie ed io, nella sceneggiatura scritta a 4 mani, abbiamo ragionato molto – afferma Valérie, oggi vittoriosa sulla malattia del figlio tanto da trasporre la sua esperienza sul grande schermo – il nome del bambino, Adam, richiama quello del primo uomo, così come quelli dei due genitori, Roméo e Juliette, vengono associati nella coscienza collettiva al prototipo degli innamorati. In questo modo, al di là della nostra storia, reale, volevo rendere il racconto universale, rappresentandoci solo come una donna, un uomo e un bambino”.
La prima parte del film, infatti, volutamente spensierata e vitale, è dedicata alla storia d’amore di Roméo e Juliette: dall’incontro in discoteca, alle passeggiate parigine, agli amici, alla casa insieme, all’arrivo del bimbo. Il cambiamento arriva, brusco e quasi irreale, con la sentenza della prima risonanza magnetica, e si dipana per il resto del film fra corridoi di ospedali, attese interminabili, domande senza risposta (‘si può guarire da questa malattia?’), vite sospese e conti in rosso per tutti gli anni della malattia di Adam. Ma nonostante ciò, la vitalità non viene meno, né la cifra ritmica del film: simbolica la scena in cui, non riuscendo a dormire la notte prima dell’operazione del figlio, i due giovani ascoltano alla radio la notizia della guerra in Iraq e Juliette esclama ‘la guerra è dichiarata’, ma il piano si sdoppia, è la sua guerra, la loro guerra contro la malattia a essere dichiarata, una trafila lunghissima ed irta di difficoltà che porterà alla guarigione del bambino, ma anche ad inevitabili rotture nella coppia, chiamata a mettere in campo tutta la propria energia, creatività, forza, fino allo sfinimento.
“La scrittura del film – continua Valérie – è nata dai diari in cui appuntavamo ciò che accadeva in quegli anni, per seguire le tappe della malattia e ricordare le parole precise dei medici. Credo che la mia presenza nel film, come attrice e donna direttamente coinvolta, oltre che come regista, abbia aggiunto qualcosa di spontaneo ed energico, ma non è stato facile. Il cinema dà un’immensa libertà, dovevo rispettare delle regole, certo, ma erano le mie regole, i miei gusti, è stata un’esperienza liberatoria e non ho avuto il sentimento di ‘rivivere’ la mia storia, ma di fabbricarne una nuova e di condividerla con tanta gente, come dice Jérémie: con questo film abbiamo eliminato tutto il brutto e abbiamo tenuto solo il bello”.
Interessante la descrizione delle due famiglie d’origine di Roméo e Juliette, lui ha una mamma single edanticonvenzionale che frequenta un’altra donna, lei due genitori borghesi e tradizionalissimi che leggono Le Figaro: “Ammetto di aver attinto al personale – conclude la regista – farcito di fantasia: volevo rappresentare due famiglie agli antipodi, che non si sarebbero mai incontrate se non ci fosse stata la malattia del nipotino ma che, di fronte ad essa, non hanno interesse a giudicarsi, si accettano per un bene più alto.”
Successo di pubblico in Francia, il film è stato girato integralmente con luce naturale grazie a una macchina fotografica Canon, utilizzata anche per mantenere il massimo della riservatezza e della discrezione richieste nelle tante scene girate in ospedale (“La sanità francese, pubblica e gratuita, funziona!” afferma Valérie che ha conosciuto gli ospedali di Parigi, Marsiglia e Villejuif), e solo nel finale, una scena al mare girata al ralenti, ha richiesto la nitidezza del 35mm. L’uso di tre voci off, la chiusura dell’iride, le canzoni scritte ed eseguite dai protagonisti e le arie di Vivaldi, le luci psichedeliche della discoteca ed il neon degli ospedali, tutto è al servizio di una storia che si sbaglierebbe a immaginare angosciosa e deprimente, e che emana, invece, spregiudicatezza, dinamismo e vigore.