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Oltre la nebbia – Il mistero di Rainer Merz, il secondo lungometraggio di Giuseppe Varlotta

Oltre la nebbia – Il mistero di Rainer Merz è un piccolo e dignitosissimo film all’insegna del mistero, con dei riferimenti, per quanto imperfetti, alla serie capolavoro per la TV: I segreti di Twin Peaks (“Twin Peaks”, 1990 – 1991) di David Lynch

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Una settimana prima della Santa Pasqua, l’anziano attore Rainer Merz scompare dal set dove si stava girando un film storico da lui voluto. Il detective Andreasi viene incaricato da una amica di Rainer di indagare sulla sua sorte. Una sensazione strana assale l’investigatore fin dalle prime battute della sua ricerca. Egli prova la netta percezione di essere in qualche modo coinvolto nelle inquietanti vicende trascorse di Merz, il quale viveva in una ex-fabbrica di cioccolato dove anni prima una bambina era morta in circostanze misteriose nell’adiacente cascata. Diversi indizi di stampo esoterico suggeriscono che un mondo oscuro avvolge la vita di quel vecchio attore. Tra occultismo e antiche leggende, il “Caso Rainer Merz” proietta Andreasi nel mezzo di una lotta tra il Bene e il Male.

Il secondo lungometraggio di Giuseppe Varlotta presenta gli inevitabili limiti delle produzioni del cinema indipendente. Eppure, il suo pregio principale si attesta come assai raro in questo genere di pellicole; ovvero, l’importanza della forma. Ben girato, con un inizio intenso e una narrazione assolutamente non didascalica anzi, il regista si prende molti rischi nell’inserire nella trama una quantità notevole di elementi e sotto temi –, possiamo subito affermare che Oltre la nebbia – Il mistero di Rainer Merz è un piccolo e dignitosissimo film all’insegna del mistero, con dei riferimenti, per quanto imperfetti, alla serie capolavoro per la TV: I segreti di Twin Peaks (“Twin Peaks”, 1990 – 1991) di David Lynch. L’attore protagonista (Pippo Delbono) alterna a una recitazione talora banale alcuni momenti di qualità, malgrado alla fine costui non risulti pienamente convincente. Ciò detto, in un cast alquanto modesto, Delbono se la cava decorosamente nell’incarnare un uomo come Andreasi, sempre imbronciato e dallo sguardo ambiguo, la cui vita dissoluta non gli impedisce però di tentare di ristabilire verità e giustizia in un tranquillo, solo apparentemente, angolo della Svizzera Italiana.

Dicevamo della forma. Invero, l’opera di Varlotta offre una discreta gratificazione per l’occhio dello spettatore grazie a una fotografia elaborata, come del resto lo è la scenografia. Al momento della conferenza stampa, il regista ha dimostrato di possedere una buona dose di umiltà, nonché consapevolezza dei propri mezzi; insomma, quella serietà che si ritrova pure nel suo film, essendo questo, sì, un prodotto indipendente e con diversi limiti, sebbene non “umile” al punto da non valere nemmeno il prezzo del biglietto, cosa che avviene, per converso, nel caso di molte pellicole di questo tipo. Ad esempio, l’utilizzo costante che qui si fa della colonna sonora potrà anche essere giudicato come un astuto espediente, nel ricorrere a uno stilema tra i più abusati nel cinema americano. Purtuttavia, musicare quasi un’ora e mezza di scene, cercando di valorizzarne le atmosfere cupe e sovente noir è un chiaro segnale di come il tempo trascorso in qualità di regista della edizione italiana del Grande Fratello abbia permesso a Varlotta di impadronirsi del mestiere. Egli non diventerà quasi sicuramente mai un grande cineasta, ma l’essere un buon regista non riteniamo che si rivelerà un’impresa titanica per lui. A tal proposito, ricordiamo come mesi fa assistemmo alla proiezione di un altro lungometraggio indipendente in chiave soprannaturale e nel quale un personaggio ordinava un caffè e gli veniva poi servito un cappuccino! Nell’opera oggetto di questa sintetica recensione tali forme di impreparazione non esistono: se vediamo la fede al dito dell’aiutante di Andreasi, è perché successivamente ci verrà mostrata la sua famiglia, e da chi è composta. Con felicità ci auguriamo che il nostro essere “datati” venga poco apprezzato da coloro che considerano la conoscenza tecnica un qualcosa di oramai superfluo nella direzione di un film. Peccato davvero (chiaramente la nostra è una simpatica provocazione) che Varlotta sappia girare, rispettando il “raccordo di sguardo”, senza condannare il povero spettatore al frustante dilemma interiore: ma quello là dove sta guardando o con chi sta parlando? Stantie regole del cinema cosiddetto “classico” queste? No, Cinema vero diremmo noi.

Tirando le somme, questa opera piccola, malgrado non semplice, ha il merito di essere un decente e apprezzabile omaggio al genere misterico, del quale in passato gli italiani erano maestri. Una tipologia filmica che necessita principalmente del succitato mestiere, e Oltre la nebbia – Il mistero di Rainer Merz è proprio il frutto di ciò, ove il mistero viene “protetto” più che discretamente sino quasi alla fine della storia. Forse, qualche ambizioso giovane “autore” di un cinema dai sedicenti contenuti avrebbe invece fatto capire tutto già a metà della storia, senza neanche essere consapevole di cotale fallimento diegetico. Fossero tutti come quello di Varlotta i film indipendenti, e di genere per giunta, allora la Settima Arte nostrana si troverebbe sul sentiero giusto per tornare ai fasti della sua gigantesca tradizione.

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