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Conversation

Cinema e Rum: intervista a Leonardo Pinto, direttore dello ShowRum 2018

Alla vigilia della sesta edizione dello ShowRum 2018 (Roma – 30 settembre e 1 ottobre 2018), uno dei più importanti eventi al mondo e primo in Italia dedicato al Rum e alla Cachaca, abbiamo intervistato il suo direttore Leonardo Pinto , riconosciuto a livello mondiale come uno dei migliori esperti di rum in Europa. Appassionato di cinema e letteratura, lo abbiamo invitato a dirci come registi e scrittori hanno raccontato la storia del famoso liquore

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La prima domanda riguarda quella che a prima vista appare come una vera e propria passione e solo dopo una professione: quando nasce il tuo interesse nei confronti del Rum e quali sono i motivi che te lo hanno fatto amare al punto da diventarne uno dei massimi esperti di settore?

Il rum è storicamente un distillato legato a una classe non aristocratica, un distillato che ha nella sua storia un legame imprescindibile con i popoli da cui proviene. In tal senso, prende parte ad usi, costumi e tradizioni, e spesso si carica sulle spalle vere e proprie rivoluzioni, culturali e politiche. Di fronte a tutto questo, credo sia impossibile rimanere distaccati: nel mio caso oltre al coinvolgimento è subentrato un vero e proprio amore, una curiosità viscerale che mi ha portato e mi porta ancora a ricercare. Prendendo spunto dalla teoria degli archetipi, di solito, più che un esperto, mi definisco un “Cercatore di Rum”, proprio per l’ardente aspirazione alla ricerca, dettata dalla sete di conoscenza e dalla curiosità. Sono un perfezionista che non abbandona la ricerca di quel misterioso qualcosa che è oltre il quotidiano e il conosciuto per il gusto di condividerlo con gli altri.

A secondo delle epoche e dei contesti, il cinema ha avuto un rapporto di odio e amore nei confronti delle bevande alcoliche e, nello specifico, dei liquori ad alta graduazione. Così, per esempio, se in un film culto degli anni ’80 Tom Cruise faceva innamorare le spettatrici ammaliandole durante la preparazione di strepitosi cocktail, in una serie tv come Sharp Objects interpretata da Amy Adams il cupio dissolvi passa anche attraverso l’uso smodato di sostanze alcoliche. Sembra non esserci una via di mezzo. Tu che opinione ti sei fatto a riguardo?

L’alcool in generale, sia rum o qualsiasi altro distillato o liquore, per finire anche nei fermentati come vino e birra, fa parte della vita quotidiana dell’essere umano. In questo senso, l’uso di alcool dei personaggi nel corso della narrazione è funzionale al concetto che si vuole esprimere. Dal tormento ai festeggiamenti, dall’eccesso alla moderazione, è indubbio che il consumo di bevande alcoliche è parte integrante della società, di quella società che il cinema, per propria propensione, tende a racchiudere, spiegare o semplicemente immortalare.

Entrando nello specifico, il rum entra nel cinema sotto varie forme: ne La via del rum di Roberto Enrico è oggetto di commercio illegale da parte dei contrabbandieri; in Havana di Sidney Pollack fa parte del cotè romantico del protagonista, mentre in The Rum Diary, tratto dall’omonimo romanzo di Hunter Thompson, è l’additivo necessario a rendere l’esistenza più vivibile. Se li conosci, cosa ne pensi del modo in cui hanno parlato dell’argomento in questione?

Credo che in tutti e tre i casi il rum sia stato attore non protagonista, evidenziando la versatilità di questo distillato non solo dal punto di vista del consumo ma anche dal punto di vista culturale, che è poi la sua vera natura. Ne La via del rum, ad esempio, il riferimento è decisamente storico. Il rum veniva commerciato illegalmente ai tempi della colonizzazione inglese in America, dove gli approvvigionamenti della Corona erano inferiori all’enorme richiesta del New England, tanto da essere uno dei motivi scatenanti per la Rivoluzione Americana. Dopo la rivoluzione e il passaggio al whisky, nel periodo del proibizionismo, i bootlegger, noti come rum runner, continuavano a rifornire illegalmente il territorio americano con barili di rum provenienti dai Caraibi. Il libro di Thompson, così come Havana, sono invece, per quanto con un’importante componente storica come sopra, l’emblema di quanto detto prima, ovvero della considerazione da parte del cinema, anche emozionale, sull’utilizzo del distillato come parte integrante della società.

So che sei uno studioso della Storia del Rum, sia nel cinema che nella letteratura. È possibile secondo te trovare una soluzione di continuità nella rappresentazione di questo liquore da parte di registi e romanzieri? E ancora, quanto appartiene alla realtà e quanto al mito in queste descrizioni?

Il rum è così legato alla storia dell’uomo e alla sua cultura che molto spesso la sua rappresentazione prescinde il reale, finendo assolutamente nel mito e nella leggenda. Basti pensare alla fama del rum sui mari, molto spesso legata alla romantica figura del pirata. Per quanto questo sia in parte vero, il vero successo di questo distillato sui mari è invece da attribuire, nella realtà, alla figura meno romantica della Marina Britannica. In ogni caso il rum, tra realtà e mito, rappresenta sempre una classe popolare e mai aristocratica e viene da sempre considerato il distillato della contrapposizione, della lotta o della rinuncia. Di solito legato al mare e ai pirati, che non sono certo una classe aristocratica, come nell’esempio sopra citato della saga di Pirati dei Caraibi, il rum prende parte in spezzoni di film anche insospettabili come 007, ad esempio in Operazione Tuono, dove miscelato in un rum collins sottolinea la contrapposizione di Emilio Largo all’aristocrazia rappresentata da James Bond. E ancora in Master and Commander, dove oltre al consumo di rum grog (il cui nome deriva dall’Ammiraglio Edward Vernon) vengono fatti riferimenti anche all’aneddoto sul Nelson’s Blood, o sangue di Nelson, altro appellativo del rum. L’origine di questo aneddoto è curiosa quanto splatter. Pare che, dopo la battaglia di Trafalgar, mentre l’ammiraglio Nelson era intento a festeggiare la vittoria venne raggiunto da un proiettile che lo uccise. I marinai con l’intento di portare la salma integra in madre patria e preservarla dalla decomposizione inserirono il corpo di Nelson in un barile di rum. All’arrivo però, la botte era vuota ed il corpo in decomposizione. Pare che alcuni membri dell’equipaggio avessero forato il barile per spillarne il contenuto. Da allora il rum fu anche soprannominato sangue di Nelson.

Nella letteratura accade la stessa cosa o la scrittura influenza l’argomento con un punto di vista differente?

A parte casi come quello sopra citato di The Rum Diary, e ve ne sono molti in narrativa, a volte si trovano dei veri e propri pezzi di storia locale raccontati attraverso il rum. Un esempio emblematico è Regisseur du rhum di Raphaël Confiant in cui il rum, la distilleria e le piantagioni sono insieme il contorno e il fulcro della storia dei personaggi che vivono in Martinica; una fotografia sociale, umana e politica sulla Martinica degli anni 30. Accanto alla narrativa, spesso mai tradotta in italiano, troviamo anche molti libri più centrati sul rum e la sua produzione come Rum di Dave Broom o Rum, a Global History di Richard Foss. Infine, non posso, tra i libri tecnici, non citare il mio, Il Mondo del Rum, dove l’argomento rum viene affrontato per aneddoti nella parte storica, coinvolgendo anche musica, cinema e politica, per poi diventare più tecnico nella parte relativa alla produzione e degustazione.

Nell’ambito del festival ShowRUM di cui da anni ti occupi hai mai pensato di realizzare una joint venture con il mondo del cinema? Te lo domando perché sia il liquore che la settima arte fanno parte dell’immaginario popolare, ma al contempo possiedono una versatilità trasversale che abbraccia diversi tipi di pubblico.

Sarebbe meraviglioso e non ho mai escluso una potenziale joint venture. I festival sono contenitori di idee e di concetti, e tale è anche ShowRUM. Il focus principale è la diffusione della cultura sul distillato, e certamente ampliare la visione di questa diffusione collaborando con settori diversi ma al contempo simili sarebbe stimolante. Per il festival, tutte le informazioni le trovate al sito ufficiale www.showrum.it.

Per finire, non posso non chiederti qualcosa sui tuoi gusti cinematografici. Che tipo di film ti piacciono e quali film più o meno recenti ti sono piaciuti?

Per natura adoro l’arte in tutte le sue forme, per cui non riesco a identificare dei gusti definiti e lineari nemmeno in campo cinematografico. Dalle commedie leggere ai film storici, ai grandi cult, ai thriller, alla fantascienza e persino ai cartoni animati, cerco di guardare, nei limiti del poco tempo a disposizione, quasi tutto. Apprezzo sicuramente i grandi registi e le loro sperimentazioni, ho un debole, ad esempio, anche se per ragioni diverse, per Tarantino e Kubrick.

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