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Interviews

Tonino Valerii: il talento deciso, ed umano, del cinema italiano

Dopo aver rievocato la figura di Sergio Corbucci, Giovanni Berardi incontra Tonino Valerii, talentuoso regista, soprattutto di western, proveniente dalla scuola di Sergio Leone. Tra i film realizzati spiccano “I giorni dell’ira”, interpretato da Giuliano Gemma e Lee Van Cleef, “Una ragione per vivere”, con James Coburn, Telly Savalas e Bud Spencer e, infine, “Il mio nome è Nessuno”, con Terence Hill ed Henry Fonda. Un altro grande autore che le nuove generazioni dovrebbero riscoprire.

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Tonino Valerii e Giovanni Berardi

Era inevitabile, perfino giusto. Anche la chiacchierata con il regista Tonino Valerii si è risolta velata di nostalgia. Il bel cinema del tempo perduto, soprattutto l’idea culturale di cinema che non appartiene più al pubblico attuale e nemmeno ai lavoratori del cinema rende il cruccio insopportabile. Dice Valerii: “Questo paese è ormai pubblicità, è lavaggio del cervello, siamo orientati verso una televisione sempre più dominante. Nessuno ha più voglia di alzarsi per andare al cinema”.  Ma chiudendo la chiacchierata con Valerii e rispondendo, il regista, ad un giovanissimo filmaker che accompagnava il cronista e gli esternava le sue delusioni, le sue aspettative negate, le sue difficoltà, Valerii non ha esitato un momento a spronare il giovane. Soprattutto l’invito è stato a costruire, sempre e comunque, a pensare film, perché le cose potrebbero anche cambiare, la situazione oggettiva potrebbe trovare anche sbocchi inaspettati ed improvvisi. L’arte, lascia intendere Valerii, è nell’1% del talento umano, il restante 99% è sempre forza, sudore, sacrificio, volontà. Sono parole, queste, che non lasciano indifferenti, che aiutano, spronano. I giovani hanno bisogno di chiedere e di sentirsi rincuorati da chi il cinema l’ha fatto benissimo e con grande traino oggettivo, sicuramente nel periodo giusto, nel periodo della grande ansia per la ricostruzione culturale. Ed in un momento in cui si lamenta, perché manca davvero la capacità, il rapporto di alleanza professionale tra i veterani ed i giovanissimi, questa esortazione ci è sembrata straordinaria, anzi talmente straordinaria da sottolinearla vivacemente. Ed acconsentire al giovane filmaker, in ultimo, a fotografarsi con un cimelio in mano, un premio importante dato a Valerii dalla cinematografia spagnola, è un significato grande di questa onestà.

Valerii è un regista che ha tanto da dare ancora al cinema italiano, i suoi lamenti, è vero, ci sono stati ed anche severi, ma non sono mai sembrati però definitivi, celebrativi, modaioli. In Valerii si nota, è celato, sottotraccia, nascosto, ma c’è, uno spiccato senso di pensare ad una rinascita talentuosa del cinema italiano, artistica ed industriale. Valerii è un regista che viene dalla grande e superba scuola di Sergio Leone. Dopo il diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia c’è la specializzazione sul campo, con Sergio Leone, appunto, con il primo vero film Per un pugno di dollari. Il giovane Valerii è lì, che apprende, che studia, che annota, che chiede, che assimila la grammatica, che è assolutamente necessaria per la realizzazione di un film. Anche se Leone lavorava per sé, assolutamente, per il suo ego, non si sottraeva all’insegnamento. Molti registi importanti devono la loro forza e la loro stabilità alla cultura leonina; oltre a Valerii c’è Franco Giraldi, e ci sono stati Duccio Tessari e Fernando Di Leo.

Il debutto alla regia di Valerii nel cinema si chiama Per il gusto di uccidere (1966). Anche se un debutto ufficioso Valerii lo aveva già avuto con il film La cripta e l’incubo diretto da Camillo Mastrocinque nel 1964, perchè Mastrocinque non era un regista adatto a trattare corde orrorifiche, lui che veniva esclusivamente dal comico puro, dalla commedia farsesca, dal cinema canzone, non se la sentiva proprio di maneggiare una materia simile, “provava proprio disgustato” spiega Valerii “e così io che del film ero l’aiuto regista e lo sceneggiatore, insieme ad Ernesto Gastaldi, praticamente mi trovai a dirigere il copione. Poi non è vero che avevo una particolare predisposizione personale per il cinema western, anche se ne ho girati cinque, solo che nel periodo storico del mio debutto, stiamo parlando della fine degli anni sessanta, il prodotto western era molto in voga, richiesto dal pubblico e fortemente sostenuto. Poi c’era stata l’intera esperienza con Sergio Leone, e in qualche maniera mi aveva fortemente identificato con il genere. Per questi motivi, mi sono trovato, dopo il debutto, ad insistere ancora con il western. Ma non sono deluso per questo e nemmeno pentito. È stato un po’ un abbandono alla volontà del mercato”.

Valerii non nega ancora oggi che il film che preferisce nella sua filmografia è il televisivo, girato però con il senso del cinema, Due madri, un film di cultura civile, di esibita indignazione. Racconta Valerii: Due madri è un film di sentimenti forti, ma anche quotidiani, questa bambina sballottata dall’Argentina all’Italia, che deve scegliere una madre, continua sicuramente a rappresentarmi”. Per il gusto di uccidere, d’altronde, si può leggere anche in altri termini. Diciamo che la sceneggiatura usa una cornice da cinema western, ma la resa poteva essere anche sociale, realista, assolutamente drammatica o fumettistica. Ed è più o meno lo stesso concetto che ci esprime Valerii: “Il genere western è stato un quadro ideale nel cinema per sbanalizzare situazioni, concetti, problematiche, filosofie legate alla nostra realtà” La sceneggiatura di Per il gusto di uccidere nasce nell’arco di soli tre giorni. Valerii la spiega così: “Dopo l’esperienza con Leone dovevo fare ancora l’aiuto regista per un film western di un regista spagnolo. Questi venne a Roma con la sua sceneggiatura e con alcune pretese sul cast che non potevano soddisfare la produzione italiana. Dopo alcuni tentativi di riaggiustare le cose, assolutamente falliti, la produzione italiana decide di mandare a casa il regista spagnolo e la sua sceneggiatura”. Successivamente la produzione italiana si rivolge a Valerii, proponendogli di accettare la regia di un film, a questo punto ancora da scrivere, ma che fosse pronto solo tre giorni dopo per rispettare la data di partenza della lavorazione. “Cose pazzesche, naturalmente” rivela Valerii, ma nel cinema ed in quel periodo le cose potevamo succedere anche in questa maniera. Valerii non si perde d’animo assolutamente e, chiuso in casa, nell’arco di un week-end, darà vita a quella che sarà la sceneggiatura di Per il gusto di uccidere. Ed in questa fretta, come noterà anche la critica, viene rivelata tutta la genuinità, tutta la freschezza, tutto il contributo creativo dettato dalla volontà.

L’ottimo risultato al botteghino del film darà modo a Valerii di attrezzare, con più abbondanza di tempo e denaro, il suo secondo film, I giorni dell’ira. Giuliano Gemma e Lee Van Cleef, due star ormai internazionali, sono tra gli interpreti ed il successo sarà clamoroso. Anche la critica si accorge del talento narrativo di Valerii, delle sue trame ricercate, e lo elogia apertamente. Tullio Kezich parlerà del film in termini addirittura edipici, vedendo nell’economia del film la storia di un giovane cowboy alla ricerca di un padre, e nel suo finale, Gemma che uccide Lee Van Cleef, dopo un rapporto d’affetto pari a quello tra padre e figlio, l’omicidio rituale del padre. D’altronde lo stesso Valerii, nel descrivere I giorni dell’ira non esita a dichiarare l’influenza avuta dal romanzo di formazione tedesco. Anche per Il prezzo del potere, suo terzo western, la critica vedrà nel sunto narrativo, veri rimandi a situazioni storiche e politiche anche contemporanee al periodo, vedi l’assassinio del presidente americano John Kennedy. Con il suo quarto film Valerii riesce ad allontanarsi dal genere western, ci tornerà comunque nel 1972 con Una ragione per vivere ed una per morire, con un cast stellare, James Coburn, Telly Savalas e Bud Spencer e nel 1973 con Il mio nome è Nessuno, interpretato da Terence Hill ed Henry Fonda, in quelli che saranno due tardi western per un mercato in cui il genere stava ormai sciamando. Il quarto film di Valerii è Una ragazza di nome Giulio tratto dal romanzo di Milena Milani. Valerii ci confessa che già dal suo primo film voleva portare sullo schermo la scrittrice, ma non con il romanzo che poi è diventato il film, bensì con “La vigna dell’uva nera”. Con un trattamento ricavato da questo romanzo Valerii incontra il suo produttore. Questi lo legge, lo elogia, ma dal cassetto della sua scrivania tira fuori il libro “Una ragazza di nome Giulia”. “Di Milani” dice il produttore “in questo momento vorrei fare questo libro. Il tuo trattamento, che è bellissimo, lo realizzeremo dopo”. E così Valerii gira Una ragazza di nome Giulio, l’altro romanzo invece, “La vigna dell’uva nera”, non verrà più realizzato. Sono un po’ queste le leggi del cinema e delle produzioni, Valerii ormai è ben inserito nel circuito del cinema di genere, per cui ogni film realizzato dopo manterrà il giusto successo al botteghino, proprio da consentire una carriera.

Ed infatti Valerii realizza nel 1972 Mio caro assassino, un film che rientra nel genere del poliziesco hard, che stava prendendo possesso proprio in quegli anni del mercato cinematografico italiano. Nei generi poliziesco, avventuroso, erotico, Valerii resterà anche nei prossimi film che sono Vai gorilla (1975), Sahara cross (1977), Senza scrupoli (1986), Sicilian connection (1986), Una vacanza all’inferno (1990).  Infine un ricordo lo merita il film Il mio nome è Nessuno. Bel western, sicuramente ben fatto, divertente e di grandissimo successo di pubblico. Piace parlarne perché il film ha avuto parecchie controversie durante la gestione del progetto, e la chiacchierata con il regista, in questo senso, è stata piuttosto deputata.  D’altronde tutti i film voluti da Leone hanno avuto gestazioni difficilissime prima della lavorazione, e questo “Il mio nome è Nessuno”, che è un progetto assolutamente leonino non è stato da meno. Il lavoro di sceneggiatura, intanto, è stato complesso, ha iniziato a scrivere Ernesto Gastaldi, poi il progetto è passato a Sergio Donati, in seguito anche ad Age e Furio Scarpelli, Augusto Caminito e Francesco Scardamaglia. Ma il solo che è riuscito a seguire Leone nel difficile e tortuoso cammino progettuale è stato Ernesto Gastaldi, ed infatti solo lui firmerà la sceneggiatura finale. Valerii comunque del progetto iniziale, quello più tortuoso, non ne faceva ancora parte. I nomi proposti per la regia, in un primo momento, erano quelli di Giuliano Carnimeo e di Michele Lupo, anzi pare che proprio Lupo abbia iniziato le riprese, ma dopo una settimana fu mandato a casa ed il suo girato eliminato.

Dice Valerii: “D’altronde Il mio nome è Nessuno era un film che già in preventivo rischiava la presenza incombente del suo produttore, Sergio Leone”.  Ma quando Tonino Valerii ha iniziato a girare il film, Il mio nome è Nessuno è diventato assolutamente un film con la regia di Tonino Valerii, una regia che è stata autorevole, puntigliosa, decisa. Racconta Valerii: “Mi sono occupato dei personaggi creati da Gastaldi, non ricordo evoluzioni o sottrazioni importanti della sceneggiatura mentre giravo. Devo dire che sono stato per “Nessuno” un regista puro”. Non poteva essere altrimenti per Tonino Valerii, un regista che, alla domanda “Quali le condizioni per fare un buon film?” non ha esitato ad elencarne tre, aggiungendo, inoltre, che sono, quelle che lui menzionava, condizioni assolutamente basilari e fondamentali. Dice Tonino Valerii, armato dal guizzo dell’ironia: “La prima condizione per fare un buon film è una buona sceneggiatura, la seconda condizione è una buona sceneggiatura, la terza condizione è una buona sceneggiatura”. Evidentemente il regista aveva visto nella sceneggiatura di Ernesto Gastaldi de Il mio nome è Nessuno una sceneggiatura netta e perfetta, la classica sceneggiatura di ferro, tanto sostenuta e difesa nel cinema di Tonino Valerii.

Giovanni Berardi

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