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La ragazza dei tulipani di Justin Chadwick, con Alicia Vikander, un singhiozzante adattamento cinematografico del romanzo di Deborah Moggach

Quelli che sembrano punti di forza si rivelano però, al tempo stesso, il tallone d’Achille del film, troppo confusionario e superficiale, impegnato com’è, suo malgrado, a banalizzare il ruolo delle passioni e dei sentimenti, riducendoli a mere comparse

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Alicia Vikander è una di quelle attrici il cui fascino racchiude dolcezza e fragilità ma, contemporaneamente, anche risolutezza e determinazione. Bella come una bambola di porcellana, aggraziata come una ballerina e tenace come una rosa del deserto, la Vikander si è fatta strada nel panorama internazionale grazie all’interpretazione di ruoli variopinti come Tomb Raider e Ava di Ex Machina. Indossando bustini e corpetti attillati, l’attrice si lascia guidare dal regista Justin Chadwick (autore de L’altra donna del re) ne La ragazza dei tulipani, singhiozzante adattamento cinematografico del romanzo Tulip Fever scritto da Deborah Moggach.

Una giovane donna, rimasta orfana in tenera età, viene allevata in un convento di suore, incaricate di coltivare i preziosi tulipani di un facoltoso signore del posto. Per sfuggire a una claustrofobica vita nel chiostro, la ragazza accetta la proposta di matrimonio di un ricco mercante di spezie che vuole formare una nuova famiglia dopo la tragedia che ha colpito quella precedente. La differenza d’età tra i coniugi è più che percepibile, ma la ragazza compie rigorosamente i doveri coniugali senza riuscire a raggiungere l’obiettivo. La sua vita procede inesorabilmente uguale a se stessa fino a quando conosce un giovane pittore scapestrato che la ritrae insieme al marito. Tra i due è subito passione, un fuoco talmente devastante da irrompere nella sua vita come un uragano e sconvolgerla dalle fondamenta. La follia d’amore, che la pervade come una febbre, porta la ragazza a dimenticare tutti i principi con cui è cresciuta e ad architettare un piano diabolico che la porterà alla distruzione del corpo e dell’anima.

Sulla falsariga de La ragazza con l’orecchino di perla, Chadwick costruisce uno scenario machiavellico in cui l’attrazione palpabile tra modella e pittore ricorda quella tra predatore e preda, vittima e carnefice. In una costante (rin)corsa, l’oggetto del desiderio rimane sempre inafferrabile, vicino, mai raggiunto, in quella funambolica e spasmodica ricerca del piacere tanto cara a Leopardi. I ritmi di una vicenda prettamente drammatica vengono smorzati da elementi grotteschi e surreali con picchi di humour grossolano e ‘volgarotto’ (si pensi al personaggio fine a se stesso di Zach Galifianakis) o da virate austere e sbarazzine, incarnate dalla sempre superba Judi Dench e dal suo irsuto collega Christoph Waltz.

Quelli che a tutti gli effetti sembrano punti di forza si rivelano, però, al tempo stesso, il tallone d’Achille della pellicola, troppo confusionaria e superficiale, impegnata com’è, suo malgrado, a banalizzare il ruolo delle passioni e dei sentimenti, riducendoli a mere comparse. I tulipani, inoltre, vengono sempre lasciati sullo sfondo, adombrati da quell’avidità mercenaria che li ha resi famosi in tutto l’occidente, seppur incurante della grazia e della bellezza insista nella loro stessa natura. In modo equivalente, la Vikander, per quanto brava, assume il medesimo ruolo del rarissimo bulbo di tulipano che potrebbe renderla ricca. Appunto, potrebbe.

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