Non si può svelare il privato senza, necessariamente, raccontare il pubblico: sembra essere questo l’assunto di Brady Corbet, già attore nel Funny Games di Michael Haneke e del 24 televisivo. E che già nel 2015 aveva portato proprio al Lido, dove Vox Lux è stato presentato, la sua controversa e premiatissima opera prima Childhood Of A Leader; due film innegabilmente legati dalla spinta propulsiva dell’autore, fermamente convinto che la Storia, quella dei libri, sia scritta prima di tutto fra le mura domestiche. Vox Lux racconta, in forma di apologo (Genesi, Rigenesi e Finale) la fulminante ascesa di Celeste, liceale scampata all’ennesimo eccidio in una scuola pubblica americana, e che proprio dalla tragedia sembra trarre le forze e l’ispirazione per un’inaspettata ma folgorante carriera da popstar. Sembra coincidere con le poche popstar planetarie la storia della cantante interpretata, con preziosa, grazia da Natalie Portman: Madonna, o Mariah Carey, e tutto il bagaglio-fardello di insicurezze, fragilità, disastrosi background personali e familiari che si porta dietro il colorato e sfavillante bric-à-brac dello showbiz, condizioni pare necessarie per poter avvicinarsi a un pubblico mondiale che negli ultimi anni è cambiato di pari passo a quella svolta radicale culturale al centro del racconto di Corbet.
Perché raccontando di Celeste, del suo cambiamento, del suo cinismo e del suo lento ma inevitabile assuefarsi al cinismo contemporaneo, Corbet sembra voler raccontare le svolte improvvise e le sterzate etiche dell’America di oggi, che dal 2000 in poi (coincidendo non troppo a caso con il crollo delle Twin Towers) è scesa a più di un compromesso, complici noi stessi come pubblico, mentre lasciamo che “appena sotto le notizie di un attacco terroristico troviamo quelle su Kim Kardashian”. Ecco che allora Vox Lux si apre con una sparatoria dentro un istituto scolastico, per chiudersi poi sull’eco di un’altra sparatoria nata sull’onda emotiva della contestazione a un sistema capitalistico simboleggiato proprio dalla stessa popstar nata con l’eccidio dell’incipit: è così che Corbet suggerisce i suoi sottotesti, in un’opera talmente coerente e potente da suscitare inevitabilmente divisioni e fratture. Il suo film è prepotentemente, assolutamente dominato e sorretto dalla Portman (che magari conquisterà quella Coppa Volpi immeritatamente sfuggitale per ben due volte, prima per il Cigno Nero di Aaronofski, poi per l’epocale Jackie di Larrain), impreziosito dalla puntuale colonna sonora di Sia: un’opera a tratti indecifrabile, a tratti vittima delle sue stesse manie di grandezza. Ma sempre e comunque a filo con un’emotività che emerge prepotente ora dalla sua interprete, ora dal suo incedere elegante e sinuoso, incurante di una grandeur che non sempre riesce a tradursi in grandezza.
GianLorenzo Franzì