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Film da Vedere

Venezia 75: La profezia dell’armadillo, il film tratto dall’omonima graphic novel di Zerocalcare (Orizzonti)

Il problema de La Profezia Dell’Armadillo è il fatto di essere un racconto di Zerocalcare senza essere di Zerocalcare: opportunamente e doverosamente trasformato per il grande schermo, il film perde ogni intimità e ogni specificità proprio nel momento in cui dal disegno si passa all'immagine

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Ci vuol poco a passare da fenomeno a fenomeno di massa: e non è detto che sia un bene. Zerocalcare pubblicava la sua prima graphic novel nel 2011, La Profezia Dell’Armadillo: seguiranno altri sette libri (l’ultimo, Macerie Prime, è stato addirittura diviso in due volumi), con il ritmo di uno all’anno quasi, in un crescendo di popolarità ma anche di qualità. La sua cifra stilistica è unica e innovativa: Michele Rech – questo il suo vero nome – unisce una spiccata vena comica, che si coagula in un umorismo tagliente e dissacrante, con un lirismo personalissimo che arriva a toccare le corde dell’animo più profonde, grazie a una sensibilità non comune, ritraendo in maniera cinica e spietata quella fascia d’età dei trenta-quarantenni in perenne debito di ossigeno, che dagli Anni Zero in poi sembrano navigare a vista e, spesso, naufragare. E lo fa senza riserve, unendo un particolare gusto per un’auto ironia che purtroppo, nelle ultime opere (dopo il suo zenith assoluto, quel capolavoro che è Dimentica Il Mio Nome, prima opera a fumetti a concorrere per il Premio Strega), si è convertito in un lezioso autocompiacimento di sé, nascosto dal meccanismo metatestuale che è alla base dei suoi testi.

In questo contesto si colloca La Profezia Dell’Armadillo: progetto nato un paio di anni fa sotto la spinta propulsiva di Valerio Mastandrea, in piena eruzione del fenomeno Zerocalcare (che da lì in poi sembra aver intrapreso e sposato un gusto mainstream straniante se unito alla sua natura schiva, ma pur sempre con strizzatine d’occhio a un bacino di pubblico crescente da accontentare), che si è arenato misteriosamente, per poi passare nelle mani di Emanuele Scaringi, alla sua prima prova da regista. Mastandrea si è quindi tirato fuori, rimanendo tra gli sceneggiatori, insieme allo stesso Rech, lasciando così il film senza uno scopo, un’opera destinata al fallimento.

Il problema è che i libri di Zerocalcare sono così complessi, autonomi, personali e intimi da non poter vivere se non nel loro stesso universo, autoreferenziale sì, ma profondamente autoriale, legati come sono a quel loro creatore che è un unicum non solo nel mondo del fumetto ma anche, ad oggi, della letteratura. Per dire: Gipi, altro geniale autore di graphic novel prestato al cinema (caso vuole, anche lui con il suo Il Ragazzo Più Felice Del Mondo presente a Venezia 75 dove La Profezia Dell’Armadillo è stato presentato in anteprima nella sezione Orizzonti), si è cimentato lui stesso dietro la macchina da presa, ben conscio del peso specifico delle sue parole e del suo tratto, quindi consapevole dei passaggi, delle distanze e delle vicinanze da tenere tra i due universi, fumettistico e cinematografico. Il problema de La Profezia Dell’Armadillo è proprio il fatto di essere un racconto di Zerocalcare senza essere di Zerocalcare: opportunamente e doverosamente trasformato per il grande schermo, il film perde ogni intimità e ogni specificità proprio nel momento in cui dal disegno si passa all’immagine. E non per un semplice e naturale fattore di adattamento, ma proprio giocando sul terreno dei significati, dei sotto testi, delle emozioni dei personaggi, che nel fumetto emergono prepotenti dalle immagini unite in maniera indissolubile alla costruzione della tavola, al segno, al testo, mentre al cinema devono faticare per essere raccontate. Risultando inevitabilmente lost in traslation, per così dire.

A nulla valgono gli sforzi produttivi: Scaringi ci mette tutta la buona volontà, ripescando anche un immaginario che si nutre di kitsch, pop e vintage, saturando i colori, segnando alcune sequenze con soluzioni visive non originali, né stranianti, ma solo inopportune, e il risultato è un’opera che non sa cosa essere, se farsi satira grottesca o cinecomic sui generis, perdendosi in volti e personaggi – il Secco di Pietro Castellitto, Camille, la mamma di Zero che da Lady Cocca disneyana si trasforma in un’impacciata Laura Morante, lo stesso Zero che da insicuro nerd di periferia diventa borgataro belloccio e quasi vincente -, disperdendo anche alcune battute riuscite che però, alla fine, danno a tutto il sapore di film da domenica sera in streaming. Non un film brutto: ma inutile, quello sì.

Unica isola felice è proprio quello che non ci si aspettava: l’Armadillo, la proiezione delle frustrazioni e della cattiveria estromessa ed estroflessa di Zero, diventa di carne e ossa, e sotto un costume da cosplayer stravince la performance di Valerio Aprea, irresistibile bastardo senza cuore. Segno che forse l’unico modo per portare Zerocalcare su schermo, senza snaturarlo e per conservare il suo intimo dolore nascosto sotto l’irresistibile cinismo da provincia romana, era forse quello che si è pure intravisto nell’incipit del film: riportare la tavola sull’animazione, conservando intatta la freschezza dell’opera. Ma è andata diversamente.

GianLorenzo Franzì

  • Anno: 2018
  • Durata: 99'
  • Distribuzione: Fandango
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Emanuele Scaringi
  • Data di uscita: 13-September-2018