Romanzo criminale, un film del 2005 diretto da Michele Placido tratto dall’omonimo romanzo del 2002 scritto da Giancarlo De Cataldo ed edito dalla casa editrice Einaudi. Con Kim Rossi Stuart, Stefano Accorsi, Anna Mouglalis, Pierfrancesco Favino, Claudio Santamaria, Jasmine Trinca, Elio Germano.
La banda della Magliana
La storia è ispirata alle vicende della banda della Magliana, nome attribuito dal giornalismo italiano a quella che viene considerata la più potente organizzazione criminale che abbia mai operato a Roma e alla quale vennero attribuiti legami con Cosa nostra, Camorra e ‘Ndrangheta ma anche con esponenti del mondo della politica e della massoneria, della loggia P2, dell’estrema destra eversiva, dei servizi segreti e del Vaticano. Il film si è aggiudicato ben otto David di Donatello 2006 e cinque Nastri d’argento. In sede di montaggio è stata tagliata circa mezz’ora di girato, che verrà successivamente pubblicata nella seconda edizione del DVD del film, uscito il 7 novembre 2007, tra cui due scene in particolare: i discorsi di Silvio Berlusconi e i “cavalli” di Vittorio Mangano; il ritrovamento e segnalazione al SISMI di Aldo Moro.
Trama romanzo criminale
Roma, anni ’70: il Libanese, il Freddo e il Dandi, tre giovani della piccola malavita romana, si uniscono per controllare il territorio. Dal sequestro del barone Rosellini al controllo del traffico dell’eroina, mettono in piedi una vera organizzazione criminale che ha la protezione della mafia e dei politici. L’unico che cerca di contrastare lo strapotere del gruppo è il commissario Scialoja che finisce per innamorarsi di Patrizia, la donna del Dandi.
20 anni di storia
Vent’anni di storia nera italiana narrati con coraggio, passione e grande lucidità storica e politica da un Michele Placido sempre più convincente, sempre più ‘autore’, nel senso più alto del termine. La struttura narrativa ha certo più d’un debito nei confronti del miglior Leone, la messa in scena è epica, magniloquente eppure mai sguaiata, (de)colorata d’un grigio plumbeo e d’azzurri venefici, toni e sfumature dell’ineluttabilità, d’una rassegnazione claustrofobica al degrado di una società che già intonava il proprio requiem, tetri riflessi di un’asfissia etica (emblematico a tal proposito il tema – ricorrente – del tradimento affettivo, temuto o reale) che nell’Italia del post-boom cementava i propri pilastri attraverso derive corruttive ed antilegalitarie sempre più ramificate.
Difficilissima, eppure perfettamente riuscita, la sfida di introdurre in un gangster movie piuttosto classico una profonda e coraggiosa riflessione sulle gravi correità istituzionali in alcuni degli eventi delittuosi più rilevanti di quegli anni, dalla strage alla stazione di Bologna all’omicidio Moro. E, se è vero che i malviventi protagonisti vengono trattati dall’autore con una certa empatia, ciò è per obbedire a regole drammaturgiche precise e ineludibili, e non certo per volontà apologetica o celebrativa nei confronti della criminalità. Essi, più che banditi ‘romantici’ in cui identificarsi e per cui fare il tifo, sono antieroi pasoliniani sgualciti e proletari, sono, all’occorrenza, carnefici e vittime, sovrani improvvisati e sudditi sacrificabili, nemici pubblici e pedine inconsapevoli nelle mani d’uno Stato sordo e tentacolare, cinico e assente ‘ad arte’.
Romanzo Criminale è, in quest’ottica, un film sulla latitanza.
Latitanza delle istituzioni e del principio di legalità prima ancora che di questo o quel malvivente di strada, sul disarmo etico che, nell’Italia ‘a mano armata’ degli anni ’70, si accompagnava all’indisturbato sibilare del piombo nelle strade e all’ancora meno osteggiato assordar di lamiere nelle grandi fabbriche. Un film necessario, una struggente composizione epica d’elementi di per sè presuntamente incomponibili, sottratti per anni alla coscienza civile pubblica e (tardivamente) restituiti dagli sforzi d’una memoria storica non ancora formatasi compiutamente. Un rarissimo esempio di cinema politico nella stagione delle allegre dimenticanze.
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