Jacques Audiard sbarca al Lido in versione western, decisamente atipica rispetto ai suoi standard, ma non per questo deludente, e presenta nella sezione Concorso della Mostra Cinematografica di Venezia un’opera dolce e divertente, il suo primo film in lingua inglese, dal titolo The Sisters Brothers. L’idea di cimentarsi sul genere western è venuta da un consiglio di alcuni amici americani che, durante un periodo di soggiorno a Toronto, hanno portato all’attenzione dell’autore il libro omonimo di Patrick deWitt, pubblicato nel 2011, del quale egli è rimasto molto entusiasta. Il regista francese ha ammesso di non essere mai stato né un esperto, né un appassionato del genere western, con il quale non si è mai approcciato, né mai avrebbe pensato di adattare il libro se lo avesse letto autonomamente.
Ai giornalisti che si ostinavano a chiedergli quali siano stati i suoi riferimenti nell’ambito del western citandogli ora Sergio Leone, ora altri nomi altisonanti a esso correlati e cari, ha ripetuto più volte di non aver avuto alcun riferimento specifico relativo alla tradizione del genere ma di essersi sentito influenzato maggiormente da un film in particolare dal titolo Night of the Hunter di Charles Laughton del 1955, che è molto più vicino all’essere una fiaba. Audiard riconosce che nel western esiste tutto un contesto e un’ambientazione che non possono essere i suoi, essendo europeo, mentre si sarebbe rifatto soprattutto al libro cui attribuisce grandi meriti, riferendo di essersi concentrato in particolare sui personaggi e sulle loro dinamiche relazionali. Quando gli viene chiesto se il fatto che non vi sia nella trama una storia d’amore sia interpretabile come una caratteristica in comune con Sergio Leone, Audiard risponde di essere convinto che il suo film in realtà parli soprattutto di amore, che sia assolutamente amore quello tra i due fratelli e protagonisti del film, che ci siano tante forme d’amore, tra le quali la fratellanza è una delle più importanti, oltre al fatto che nell’opera ci sono diverse altre dimensioni affettive, quali quella verso una donna lasciata a casa, quella di uno dei due fratelli per il suo cavallo e, non ultima, l’amicizia che si instaura con gli altri due personaggi.
Ottima la prestazione degli attori che interpretano i due fratelli Carlie (Joaquin Phoenix) e Eli (John C. Reilly), protagonisti del film, e in particolare, come sempre impeccabile, la prova di Phoenix, che buca lo schermo anche soltanto quando viene inquadrato senza che muova un muscolo. Sarebbe assolutamente meritata l’eventuale Coppa Volpi, sperando che il riconoscimento possa essere assegnato indipendentemente dal fatto che l’attore non sia presente fisicamente al Lido. Sembra infatti che Joaquim non sia venuto a presentare il film perché impegnato nella preparazione del ruolo del Joker che interpreterà nel film diretto dia Todd Phillips. John C. Reilly invece era presente anche in conferenza stampa, dove è apparso molto umile. L’attore ha dichiarato di essersi sentito da subito moto vicino al personaggio e al suo modo di muoversi nella vita quando ha ricevuto la sceneggiatura, mentre la sfida maggiore per lui è stata dover affiancare un mostro sacro come Joaquim Phoenix, a suo dire il miglior attore in circolazione, di dover lavorare con qualcuno che pare essere maniacale nella sua ricerca della credibilità dei personaggi senza sentirsi schiacciato; e nello stesso tempo quella di non deludere Jack Audiard con il quale si è trovato molto bene.
E sono effettivamente molto belli questi due fratelli, rimasti in fin dei conti, nel profondo, dei bambini un po’ cresciuti, che condividono una storia difficile che ha fatto di loro ciò che sono e che viaggiano insieme attraversando un mondo che, in questo caso, è rappresentato dal Far West, ma potrebbe essere costituito da un altro qualsiasi contesto, fatto di violenza e di primato del denaro; un mondo del quale loro stessi fanno parte, nel quale si proteggono a vicenda, attaccano e si difendono senza esclusione di colpi, ma ciò che rimane sempre integro, solido e inattaccabile è l’affetto che li unisce, che si manifesta in tanti modi, compreso uno sbeffeggiarsi reciproco che rende lo sviluppo del racconto e delle loro vicende particolarmente divertente per lo spettatore, complice in questo la padronanza e l’abilità dei due interpreti. Man mano che vanno avanti, perseguendo degli obiettivi non esattamente nobili, in totale sintonia con quel mondo, i due si rendono conto progressivamente, per quanto in modo casuale e involontario, che violenza e tasche piene in realtà non sono poi delle opzioni così valide e gratificanti ed è nell’incontro con gli altri due personaggi fondamentali del film, Warm (Jake Gyllenhaal) e Morris (Riz Ahmed) che si estrinseca e si esprime il nucleo di quello che può essere interpretato come il messaggio principale di questa storia.
Si è detto durante la conferenza stampa che è individuabile nello sviluppo del racconto una sorta di evoluzione umana in quattro fasi, in cui vi è una progressiva maturazione, ognuna delle quali viene percorsa attraverso ciascuno dei personaggi, dal primo, più rozzo e violento, Charlie, al fratello Eli, sempre grossolano, ma dotato di un minimo in più di giudizio e sensibilità, a Warm, più colto ed evoluto, ma sempre abbastanza materialista e, infine, Morris, sicuramente il più maturo ed emotivo. Così, nel ritrovarsi a trascorrere seppur forzatamente del tempo insieme, i quattro uomini sviluppano delle affinità e scoprono che la condivisione supera di gran lunga l’interesse personale, riducendo l’utilità della violenza, creando empatia, ma sopratutto eliminando la solitudine. Purtroppo non tutti loro potranno beneficiare di queste scoperte e saranno proprio i meno evoluti a sopravvivere e andare avanti, mentre soccomberà chi aveva ipotizzato di costruire un mondo nuovo, diverso, una società ideale e democratica. Forse a volerci dire un po’ amaramente che, per quanto sia auspicabile una realtà empatica e non violenta, per quanto sia più appagante e giusta, chi è più sensibile e meno difeso alla fine fa una gran fatica a sopravvivere in un mondo che fondamentalmente purtroppo funziona ancora al contrario.
La colonna sonora vanta la firma esperta di Alexandre Desplat, già più volte presente a Venezia e vincitore dell’Oscar con La forma dell’acqua di Gulliermo Del Toro e Gran Budapest Hotel di Wes Anderson, e noto anche in Italia per aver curato le musiche di Reality e Il Racconto dei Racconti di Matteo Garrone. Anche Desplat ha detto di essere riuscito a creare una musica appropriata, allontanandosi dal genere western e da musicisti legati alla sua tradizione, come Ennio Morricone, cercando di trovare un’altra via, riferendosi ai personaggi.