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Venezia 75: Il Ragazzo Più Felice Del Mondo, l’opera seconda dell’illustratore Gipi

Dopo otto anni, l’illustratore porta a Venezia il suo secondo film da regista, Il Ragazzo Più Felice Del Mondo, che costituisce in tutto e per tutto un proseguimento coerente del suo lavoro cinematografico

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L’opera prima di Gipi, L’Ultimo Terrestre, fu presentata in anteprima proprio alla Mostra del Cinema di Venezia; e alla stessa mostra, otto anni dopo, l’illustratore porta il suo secondo film da regista, Il Ragazzo Più Felice Del Mondo, che costituisce in tutto e per tutto un proseguimento coerente del suo lavoro cinematografico. Chi conosce Gian Alfonso Pacinotti e le sue graphic novel sa bene come il suo stile sia una fusione assoluta e felice di testo e disegno: illustrazioni essenziali, scarnificate, che catturano immediatamente l’oggetto osservato in uno storytelling preciso e funzionale, e racconti intimi, personali, che attingono a piene mani da un vissuto che si presume quanto più possibile autobiografico. Ecco, il suo cinema rispecchia le sue qualità: essenzialità, lirismo, intimismo, tutto con un’insostenibile leggerezza che rende la lettura – e la visione – scorrevole, incredibilmente affascinante ed emotivamente vorticosa.

Il Ragazzo Più Felice del mondo parte da una storia vera: una lettera scritta a mano ricevuta dal regista, che si scopre successivamente scritta, nello stesso preciso modo, e spedita a tanti altri disegnatori e colleghi. Quindi, la ricerca dell’autore, che si scontra con ostacoli etici, morali e professionali. Il film procede lieve e senza scossoni: auto analitico e auto ironico, così come con la carta stampata, anche per la pellicola Gipi mette in scena se stesso senza fronzoli o censure, per poi lasciare che il racconto stesso si apra con dei cerchi concentrici verso gli altri protagonisti (anche questi, presi pari pari dalla sua vita privata: moglie, amici, colleghi) contribuendo così a distruggere la sua stessa centralità in un continuo cortocircuito metanarrativo. In più, rispetto al primo film, Gipi dimostra di essere più dentro la fabbrica, il “meccanismo cinema”, riuscendo anche a riflettere felicemente sulla grammatica cinematografica, sulla sua essenza; sul racconto e sul raccontare, sul significato e sul senso di essere “personaggio pubblico”, collegandolo con un guizzo sottile a tematiche attualissime. Perché il mondo del fumetto (e del cinema) sono cambiati velocemente, senza poter stare al passo: nel momento in cui i social hanno abbattuto diverse barriere, confini e muri, il semplice “appassionato” è automaticamente diventato “critico”, insieme giudice giuria e boia, senza funzione che sia altro quella di aspettare al varco, metaforizzando splendidamente luci e ombre del web.

GianLorenzo Franzì

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