Era un’impresa da far tremare i polsi: portare sullo schermo, quello piccolo per di più, la quadrilogia di Elena Ferrante, L’Amica Geniale, una delle più grandi scrittrici del nostro secolo, autrice di una delle opere più ambiziose e importanti dagli Anni Zero. Ha avuto il coraggio di farlo Saverio Costanzo, con la supervisione della stessa Ferrante alla sceneggiatura e l’apparato produttivo di Wildside, Rai Fiction – sinceramente, una Rai che stupisce per azzardo e ambizioni, soprattutto internazionali – ma soprattutto HBO. E la scommessa è stata vinta, sotto tutti i punti di vista: le prime due puntate (delle otto previste che andranno in onda su Rai Uno ad Ottobre, coprendo tutto il primo libro dei quattro che compongono l’intero corpus narrativo) sono state presentate in anteprima assoluta a Venezia 75, in una Mostra del Cinema che, sotto la fortunata e a tratti geniale conduzione di Barbera, ha ormai definitivamente aperto le porte a un linguaggio cinematografico sempre autoriale, ma più dichiaratamente pop, contagiato dalle influenze del postmoderno e delle nuove piattaforme. Porte aperte allora al nuovo lavoro di Saverio Costanzo, già vincitore al Lido con il suo Hungry Hearts che ha portato due Coppe Volpi ai suoi protagonisti, e non nuovo alla narrativa televisiva (è sua la regia della riuscita trasposizione italiana dell’israeliano – poi anche americano – In Treatment): è sua la regia degli otto episodi – e quelli che sicuramente seguiranno, per coprire l’intero arco di tempo della storia – basati su L’Amica Geniale.
Opera densissima, che procede ora per iperboli ora raggrumando, scomponendo, riassemblando il materiale originario ma sempre e comunque rispettando fedelmente il nucleo del libro, finanche testualmente. Perché c’è anche una voice over, ne L’Amica Geniale, una delle cose più pericolose e rischiose che si possano inserire in un film: ma così perfettamente funzionale, così ben amalgamata al racconto per immagini da sembrare a volte persino necessaria. Perché L’Amica Geniale è anche e soprattutto questo: un impasto magistrale di forme e suggestioni, la sintesi perfetta di Costanzo, grandissimo autore con un universo cinematografico ben delineato e personalissimo, e della misteriosa Ferrante, autrice la cui parola sembra eruttare dalla pagina scritta per lambire il lettore e trasportarlo letteralmente nella storia, attorcigliandolo con emozioni fortissime, personaggi che escono dalla pagina; una Napoli in macerie umane e fisiche che parte dalla metà degli anni ’40 per arrivare ai ’60 -a lmeno per quanto riguarda questa prima stagione – e copre tutto un segmento di storia italiana, culturale e politica. Si, perché come ha detto lo stesso Costanzo, L’Amica Geniale è un’opera profondamente, problematicamente politica, nel senso più puro del termine: il suo film parla di Elena e Lila, ma la narrazione esonda e ci investe, ricoprendo lo spettatore delle ombre dei personaggi fino a farle combaciare con chi guarda, per raccontarci in realtà di noi stessi, da dove veniamo e dove cerchiamo faticosamente di andare. Sembra quindi sia proprio questo il nucleo fondante del film: una strettissima simbiosi tra chi legge e chi è letto, per la capacità tutta ferrantiana di sapere cogliere le sfumature più nascoste e inavvertite dell’animo femminile. È per questo che, dopo numerosi studi fatti, si pensa che sotto lo pseudonimo di Elena Ferrante si celi una donna e non un uomo; proprio per come la parola riesce ad andare a fondo nel cogliere un battito di ciglia, una smorfia delle labbra, una rimozione al posto di un pianto, un ricordo che si trasfigura o un dolore che si trasforma. C’è la vita, ne L’Amica Geniale e c’è la vita nell’opera di Costanzo, bravissimo nel catturare fino in fondo i colori, a volte anche i sapori e gli odori restituiti dall’ambientazione, e che nonostante la chiara impronta dell’autrice del libro imprime a fuoco nella pellicola le sue stimmate, quindi tutta la foga, la violenza, l’esplosione emotiva del suo mondo, quegli scarti di silenzio e quelle improvvise accelerate, quel chiudersi dentro ed espandersi fuori in continuazione, ma soprattutto quello sguardo mai pago che scruta nelle pieghe più laceranti e lacerate di una quotidianità perennemente in guerra con se stessa per ritrarre, senza sconti ma con grazia e poesia, il dolore nel quale si riflette la vita vera.
“È stato facile e difficile, entrare nel mondo del libro”, ci ha detto il regista, con riguardo a come abbia fatto a rendere così bene, in maniera così puntuale il mondo di Elena Ferrante: “facile, perché il libro di partenza è così compatto, così espressivo nel rendere i personaggi, le loro storie, il quartiere, che non c’è stata fatica nel fare i casting. Le protagoniste di Lila ed Elena, Elisa Del Genio e Ludovica Nasti da piccole, e poi Margherita Mazzucco e Gaia Giraci da adolescenti, non hanno avuto seconde scelte: non appena le ho viste, ho capito che erano loro. Poi, è normale che ogni lettore quando ha davanti le parole del libro, i volti li sostituisce necessariamente con quello che ha nel suo vissuto; ma io non ho avuto titubanze, Elisa e Ludovica, Margherita e Gaia erano Elena e Lila. Certamente, poi, in fase di lavorazione è stato necessario una sorta di adattamento: abbiamo spostato qualcosa, abbiamo spinto per altri versi, abbiamo insomma ricalcato il libro con gli strumenti del cinema, perché la penna e la macchina da presa sono due strumenti diversissimi. Ma la base di partenza era così coerente che è stato alla fine un piacere tradurla in immagini: quando le fondamenta sono solide è più semplice fare un buon lavoro.”
GianLorenzo Franzì