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Venezia 75: Suspiria di Luca Guadagnino, l’iconografia femminile tra l’originale argentiano e la rivisitazione dopo oltre 40 anni

Luca Guadagnino ha dato sfogo, con entusiasmo, alla sua ossessione più grande, che fin dall’infanzia lo assillava. Sarà il pubblico (curioso e impaziente) a tirare le conclusioni di questa scommessa che, al momento, sembra vinta

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Uno dei film più attesi del momento è stato finalmente proiettato alla kermesse veneziana e il primo dei tre italiani in concorso. Le aspettative (alte) sono state mantenute. Luca Guadagnino ha dato sfogo, con entusiasmo, alla sua ossessione più grande, che fin dall’infanzia lo assillava: così come Dario Argento (coadiuvato da Daria Nicolodi) aveva fatto nel 1977, creando con Suspiria uno dei pilastri mondiali della cinematografia orrorifica.

Effettivamente, le dichiarazioni di Argento sul film di Guadagnino sono in parte condivisibili, in riferimento al fatto che il nuovo Suspiria non sia un film dell’orrore inteso nel senso più puro del termine. Anche se, fin dalle prime immagini, si respira un’aria mortifera, in cui il senso di inquietudine ristagna in maniera imperante: Patricia (Chloë Grace Moretz), ormai resa fuori controllo dal potere stregonesco della Tanz Akademie di Elena Markos, immersa nei sui vaneggiamenti raccapriccianti, rispecchia a pieno regime le paure che il film originale suggeriva. Il paragone tra il vecchio e il nuovo non ha senso di esistere, quello di Argento rimarrà la prova inconfutabile di come l’orrore esoterico possa attanagliare le anime di giovani danzatrici diafane ed eteree all’interno di architetture art nouveau.

In Guadagnino troviamo, invece, un omaggio sentimentale, femminino e femminista, già a partire dalla collocazione temporale dei fatti rappresentati. Quel 1977 berlinese, dilaniato da continui attentati, evoluzioni degli scempi del nazismo e scontri generazionali tra la vecchia guardia e la nuova (i giovani della RAF-Rote Armee Fraktion), fa da sfondo alla storia, ormai nota, sui misteri che avvolgono l’accademia di danza in cui Susie Bannion (Dakota Johnson) si trasferisce dal campestre Ohio. L’arte della danza diventa anch’essa un personaggio (le coreografie sono curate da Damien Jalet), espressione di vita, sacrificio, passione, sofferenza, morte. Le caratterizzazioni vengono rimodulate in maniera congeniale alla storia cui il regista dà forma: la Madame Blanc, elegante e sofisticata, di Joan Bennett viene sostituita da quella più concettuale di Tilda Swinton, in debito verso Pina Bausch, Martha Graham e, in parte, Patti Smith. Mentore e faro per le allieve in formazione che ambiscono a risultati performativi altissimi. Pat Hingle rimane il personaggio-chiave, detentrice degli orrori eseguiti dalla congrega stregonesca.

Grande sorpresa è Mia Goth, che prende il posto della candida Stefania Casini. Il personaggio di Sara viene elasticizzato a favore di un amore platonico con Susie: un rapporto sincero ed elettrico, fatto di condivisione, comprensione, potenza, oltre che di fascino ed eleganza, senza sconfinare nell’omoerotismo più spicciolo. Dakota Johson prende il posto di Jessica Harper, quest’ultima presente in un cameo dai toni malinconici, che in un certo senso sigilla il passaggio di testimone alla figlia di Melanie Griffith e Don Johnson. La Susie del 2018 diventa nemesi totale di quella del 1977, la specularità si impone in maniera incisiva e l’interpretazione va al di là del puro e semplice omaggio. I toni fiabeschi della Susie di Harper cedono il posto a quelli sanguigni di Johnson, a partire dalla sinuosa chioma infuocata per poi arrivare a un totale ribaltamento iconico nelle battute finali. Si aggiunge, inoltre, la presenza di Lutz Ebersdorf (sempre Tilda Swinton?) nel ruolo del dottor Jozef Klemperer, psicoterapeuta, che strizza l’occhio al prof. Milius, ovvero colui che spiega a Susie-Harper che «le streghe fanno il male, nient’altro che quello».

Infine, alcune rievocazioni dirette non mancano: dal filo da bucato (con tanto di biancheria intima), che nell’originale faceva da sfondo al primo omicidio di Pat e Sonia, all’utilizzo di un’attrice con le sembianze di Franca Scagnetti (la tremenda inserviente del 1977) all’interno della cricca magica. Passando per l’iconografia femminile del cinema fassbinderiano (La paura mangia l’anima, Veronika Voss) e il coinvolgimento curioso di Renée Soutendjik, musa di Paul Verhoeven, protagonista di Spetters-Spruzzi (1980) e Il quarto uomo (1983). Mentre i carillon de I Goblin lasciano il passo alle sperimentazioni più “fredde” e “soft” di Thom Yorke. Ma sarà il pubblico (curioso e impaziente) a tirare le conclusioni di questa scommessa che, al momento, sembra vinta.

  • Anno: 2018
  • Durata: 152'
  • Distribuzione: Videa - CDE
  • Genere: Horror
  • Nazionalita: USA, Italia
  • Regia: Luca Guadagnino

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