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Venezia 75: Your face, la nuova forma evolutiva del cinema sempre inconsueto e mutevolissimo di Tsai Ming Liang (Fuori Concorso)

Sempre più ridotta all’osso qualsiasi forma di narrazione per dare spazio ad altri canali espressivi, questo ennesimo esempio di amore per il cinema e per la sua evoluzione in particolare, Your Face di Tsai Ming Liang è una sorta di meditazione attraverso l’osservazione di mimiche, sguardi, respiri

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Ho sempre pensato che il cinema debba procedere, andare avanti, e che sia nel cambiamento che risiede la sua forza.”: queste le prime parole di Tsai Ming Liang durante la conferenza stampa di oggi, in riferimento alla sua ultima opera, Your Face, presentata nella sezione Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia.

È il terzo anno consecutivo che il regista torna al Lido con un suo lavoro, mostrandosi molto grato nei confronti della manifestazione che “ha sempre accolto e accettato tutti i suoi cambiamenti”. Non a caso ha definito Venezia uno dei luoghi più importanti della sua vita, certamente quello nel quale ha modo di incontrare il maggior numero di suoi estimatori.

Ancora una volta straordinario, diverso da se stesso e da tutti gli altri, il regista taiwanese mette in scena un cinema autentico, affettivo, caldo, potente, nel quale l’immagine diventa culto dell’espressività, esplorata e indagata in ogni suo meandro, fino a saturarne lo schermo. Dallo sguardo dell’autore traspare sempre e comunque un’entità di anima smisurata, non quantificabile, che permea chi se ne lascia pervadere, riscaldando le percezioni ed esaltandole come potrebbe fare una sostanza psicotropa. Abbandonando, o forse solo lasciando da parte per ora, la centralità dell’acqua, elemento sempre fondamentale nel suo lavoro, questa volta Ming Liang si occupa in apparenza esclusivamente di visi, scandagliandone ogni dettaglio prezioso e ogni imperfezione, esponendoli in tutta la loro verità, regalandoli così allo spettatore e raccontando, in realtà, attraverso di essi un mondo intero fatto di stati d’animo, di tristezza, imbarazzo, colpa, di tempo che passa inesorabilmente, di ricordi. Tutti elementi che traspaiono distintamente e con un’intensità penetrante dallo scorrere dei volti ripresi e dalle poche parole che l’autore gli consente di proferire, accompagnandoli sempre con tenerezza ed empatia. Quel minimo, “minimissimo” esserci che testimonia sempre un sentire fortemente tutto ciò su cui egli focalizza il suo interesse e la sua attenzione.

È possibile avvertire una doppia percezione derivante dalla visione di questi visi, due suggestioni quasi opposte che, in qualche modo, si compenetrano e si compensano; la forza evocativa capace di suscitare una sorta di movimento interiore intimo e personale è la stessa che rende il moto emotivo evocato, sintonico, che lo paca, comprendendone in un unico flusso familiare tutte le inflessioni e appianandone i picchi. Una familiarità data dal potersi specchiare in quei visi, dal sentirli propri quanto altro da sé, che rende possibile quel senso di appartenenza a un unico genere umano che ci comprende tutti, mantenendo contemporaneamente il valore e la preziosità di ciascuna individualità. Un intento universale in cui si avventurano tanti artisti che il regista riesce a raggiungere semplicemente dandoci modo di guardarci, da cui, probabilmente, il titolo Your Face.

A chi gli ha chiesto quale fosse il suo rapporto con il soggetto che ha scelto di mettere in scena, il regista ha risposto che attualmente il cinema privilegia i volti più attraenti, quelli più noti, mentre lui è attratto maggiormente dalla gente comune; quasi tutti i personaggi scelti per il film sono stati presi dalla strada. Ogni volto racconta una storia e, confermando il suo stile contemplativo, il cineasta taiwanese afferma di essere convinto che quei visi dovessero parlare attraverso la loro immagine e il meno possibile attraverso le parole, cosa che avrebbe fatto del suo film un documentario e che non era nei suoi intenti. Per questo motivo, nonostante le riprese siano state velocissime, il montaggio ha richiesto dei mesi, impiegati proprio a far sì che non fosse presente un parlato ingombrante che avrebbe tolto risalto all’estetica che l’autore voleva far emergere.

Ming Liang si è esposto poi in una dichiarazione estremamente personale, raccontando di aver iniziato veramente a vedere i volti umani dandogli il valore che hanno, nel quarto d’ora che ha preceduto la morte della madre, episodio che lo ha portato a pensare che sono due i momenti della vita di una persona in cui questa può essere maggiormente colpita da un volto umano: quello della nascita di un figlio e quello della morte di una persona cara. Riferisce, altresì, di essersi sentito attratto dalla possibilità di inquadrare i volti da vicino, cosa che non aveva potuto fare nel suo ultimo lavoro di VR, The Desertes, proiettato sempre aVenezia l’anno scorso.

Sono dodici i visi che vediamo scorrere, tutti appartenenti a persone di età moderatamente avanzata, se si fa eccezione per quello di Lee Kang Sheng, che anche questa volta l’autore non ha resistito, assolutamente a ragione, a inserire nel suo insieme di vite, dimostrando il suo affetto incondizionato, la quasi venerazione nei confronti di questo strano, taciturno, dolce ed eterno ragazzo, presente in tutti i suoi lavori, che abbiamo visto passeggiare per il lido mano nella mano con la madre (anche lei nel film). Parlando di quanto possa essere bello un volto, Ming Liang ha affermato di guardare quello del suo attore ormai da vent’anni e di non essersi mai annoiato. Ha asserito inoltre, se non fosse stato abbastanza esplicito, che la sua vita è costituita da una serie di promesse, una delle quali è quella di filmare quel volto fino alla fine, dichiarandogli, come già aveva fatto durante Afternoon, opera-dialogo tra i due presentata sempre a Venezia due anni fa, un amore assoluto ed esclusivo, di fronte al quale Lee Kang Sheng reagisce sempre con imbarazzo e apparente impassibilità, data forse proprio dall’incapacità di sopportare un donarsi a lui così esplicito e diretto anche in pubblico.
Un soffermarsi su volti vissuti, quindi, che consente di carpirne la maggior misura possibile di esperienza, quasi come se si potesse trasmetterla, infonderla e trarne crescita e stimolo, oltre che riflessione personale, bilancio, insegnamento. Sempre più ridotta all’osso qualsiasi forma di narrazione per dare spazio ad altri canali espressivi, questo ennesimo esempio di amore per il cinema e per la sua evoluzione in particolare, Your Face è una sorta di meditazione attraverso l’osservazione di mimiche, sguardi, respiri.

Particolare importanza nell’opera è stata data all’uso del suono, che deve quasi tutta la sua presenza a Ryūichi Sakamoto, compositore e musicista giapponese incontrato l’anno scorso qui al Lido, con il quale il regista si è trovato particolarmente in sintonia e che due giorni dopo aver ricevuto e visto il film e il suo invito a  parteciparvi, ha accettato ed elaborato i dodici pezzi che poi sono stati inseriti. Il regista ha asserito di aver particolarmente apprezzato la forma non convenzionale del materiale inviatogli da Sakamoto e di essere convinto che sia proprio quella a far emergere e a esaltare i diversi e preziosi suoni emessi naturalmente durante le riprese da ognuna delle persone filmate.

Quando capisci che tutti quanti i volti sono belli, nessuno escluso, comprendi quanto è bello il mondo”.

  • Anno: 2018
  • Durata: 76'
  • Genere: Sperimentale
  • Nazionalita: Cina
  • Regia: Tsai Ming Liang

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