Il cinema che ci piace di più è quello fatto da cortocircuiti, da scosse imprevedibili, da rimandi sottocutanei e riflessioni metaletterarie: e cosa c’è di più “meta” di una cantante che si fa scoprire attrice per un film che racconta la scoperta di una cantante? A Star Is Born è l’esordio (sorprendente, per molti versi) di Bradley Cooper alla regia, che ha voluto come protagonista del suo film, il terzo remake del celebre È Nata Una Stella, proprio la superstar Lady Gaga: storia immutata ed immutabile sulla guerra dei sessi illuminata dalle luci della ribalta, verità amara sulla natura egoista dell’animale uomo, il film racconta di Jackson Maine, cantante country problematico e alcolista, che si innamora e porta al successo Ally, giovanissima cameriera dalla voce strepitosa e dalla presenza scenica ancor più enorme.
Inutile nasconderlo, A Star Is Born è un esordio che più mainstream non si può: protagonisti celebri e modaioli, storia senza sorprese né scossoni, morale sicura e di facile presa. Eppure, quest’opera nata fortunata e presentata Fuori Concorso a Venezia 75 va veloce come il vento, ha un ritmo furioso e si costruisce, anzi si avvinghia, su Cooper e Lady Gaga ben consapevole non solo del loro glamour così fascinoso, ma del loro innegabile carisma e della non trascurabile professionalità. Senza omettere di segnalare che stupiscono le sequenze dei concerti, i duelli slapstick, la messa in scena di rapporti familiari disastrosi quanto prevedibili, così come Bradley è riuscito a renderli con una regia svelta, mai pesante o telefonata, certo non personale ma sicura e piena di grinta. Lui, che passa indifferentemente dall’hangover movie all’action muscolare fino alla fragilità di storie intime e drammatiche, ha saputo non solo non banalizzare (ulteriormente?) una storia di per sé risaputa e stravista, ma anche far passare in secondo piano ogni confronto (impietoso?) con le versioni precedenti, e soprattutto valorizzare le capacità non banali della sua protagonista, utilizzando da una parte il biografismo e la metatestualità, dall’altra aggiungendo, sottraendo e disponendo difetti e stalli narrativi dietro l’imponenza del personaggio. Insomma, un guilty pleasure bello e buono.
GianLorenzo Franzì