Shark – Il primo squalo si apre con un’equipe sottomarina che fa parte di un programma internazionale con lo scopo di andare oltre una barriera di acqua fredda. Riuscendo in tale operazione, viene liberato uno squalo preistorico di quasi 23 metri conosciuto come Megalodonte. Per fermare tale furia omicida viene incaricato l’esperto di salvataggi subacquei Jonas Taylor.
Shark, al confine tra Lo squalo e Jurassic World, ha riacceso gli animi degli spettatori affetti dalla “squalomania”. Incassi record nel primo weekend del box office statunitense contro tutti i più disparati pronostici della critica. Un blockbuster vorticoso pieno di suspense ed effetti speciali che rendono il mostro marino realmente agghiacciante. Tratto dal romanzo Meg (Megalodon) di Steven Alten, il film diretto da Jon Turteltaub ha una dimensione balneare-spaziale, grazie a sottomarini paragonabili alle navicelle di Star Wars e la copiosa consistenza della fotografia che rende le scene con il predatore marino per eccellenza un’opera d’arte in perpetuo movimento.
La tecnologia regna sovrana, ormai alleata indissolubile della Generazione Z, avvezza a Guardiani della galassia, Avengers e altre forme filmiche ultra supportate da grafiche imponenti. Poco entusiasmante la sceneggiatura e i dialoghi a tratti fin troppo inverosimili. Sentimentalismi e sex appeal sono pura vernice fresca gettata in modo astratto su una parete bianca che poteva avere un potenziale quantomeno nell’originalità del rapporto tra i personaggi. Ma per quanto possa essere avvincente il mix tra testo e immagine, c’è un sotto testo ambientale in realtà cristallino: la scienza stuzzica la natura e la natura stessa mostra la sua anima persecutrice inarrestabile. L’eccessiva sete di conoscenza, profanando habitat naturali immacolati, costituisce una mancanza di rispetto nei confronti del pianeta che ci ospita e non che noi governiamo. Siamo semplici e minuscole particelle schiacciate dalla realtà gravitazionale.