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Zombi in tutte le salse con Bunker of the dead, Dead within e Don’t grow up

Segnali dall’universo digitale. Rubrica a cura di Francesco Lomuscio.

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Sfruttando le informazioni racchiuse in un vecchio diario, due amici sono alla ricerca di una base sotterranea risalente alla Seconda Guerra Mondiale che venne utilizzata dai nazisti come centro di ricerca segreto e al cui interno potrebbe essere nascosto l’oro perduto del Terzo Reich.

Originariamente girato in 3D, parte da questo semplice soggetto il tedesco Bunker of the dead, diretto nel 2015 da Matthias Olof Eich e che, oltre ad evolversi con la scoperta del fatto che il sistema di gallerie si trovi dentro un’area riservata su cui sorge una base militare statunitense, come il titolo lascia intuire non tarda a tirare in ballo tutt’altro che pacifici morti viventi.

Ma non morti viventi qualsiasi, bensì, ovviamente, abbigliati in uniforme nazista come quelli visti in Zombie lake e nel dittico Dead snow, lavori dai quali il film di Eich si distacca a causa della scelta di raccontare la oltre ora e dieci di visione attraverso la tecnica del POV  (Point Of View), portata al successo in ambito horror da già cult del calibro di The Blair witch project – Il mistero della strega di Blair e Paranormal activity.

FrancescoLomuscio_Taxidrivers_Bunker of the dead_Eich

Anche se, in verità, più che il look del falso documentario strutturato tramite la ricostruzione di un altrettanto falso filmato ritrovato l’insieme è chiaramente volto ad offrire cinematograficamente un’esperienza capace di gemellare quelle videoludiche in soggettiva degli sparatutto, come avvenuto nel contemporaneo Hardcore! di Ilya Naishuller.

E, man mano che fanno la loro entrata in scena anche un Adolf Hitler da oltretomba e, addirittura, gli alieni, è l’azione a dominare l’operazione, resa disponibile in blu-ray italiano da Koch Media, con teaser, trailer italiano e originale, quattro minuti di clip musicale e ventotto di backstage nella sezione extra.

La stessa Koch Media che, a proposito di produzioni zombesche, lancia su supporto in alta definizione anche l’americano Dead within, a firma di Ben Wagner e tutt’altro che mirato, però, al facile intrattenimento.

FrancescoLomuscio_Taxidrivers_Dead within_Wagner

Infatti, prendendo il via dai coniugi Kim e Mike che, rispettivamente interpretati da Amy Cale Peterson e Dean Chekvala, in viaggio con la loro figlioletta e il cane per raggiungere la baita di montagna di una coppia di amici finiscono per ritrovarsi unici sopravvissuti ad una misteriosa epidemia che rende un inferno popolato di famelici assalitori il mondo esterno all’abitazione, il film, datato 2014, non ricorre affatto al movimento e al sensazionalismo da effetto speciale, ma si evolve lentamente concentrandosi sulla claustrofobica sensazione d’assedio.

Infatti, puntando soprattutto sui versi minacciosi degli infetti che, dal di fuori, tentano di entrare per aggredire i due protagonisti, il regista ne inscena la loro lotta per la sopravvivenza intrisa di pessimismo e mancanza di speranza, privilegiando una certa teatralità suggerita dalla unica location al chiuso.

FrancescoLomuscio_Taxidrivers_Don't grow up_Poiraud

Con il trailer quale contenuto speciale, come nel caso di un’altra novità targata Koch: la co-produzione tra Francia e Spagna Don’t grow up, messa in piedi nel 2015 da Thierry Poiraud, già responsabile, a proposito di zombie movie, di Goal of the dead, firmato insieme a Benjamin Rocher.

Una co-produzione il cui scenario è un’isola sperduta dove un gruppo di delinquenti adolescenti vive in un centro giovanile; prima di scoprire che nessuno vigila su di loro e di decidere, quindi, di cominciare a prendersi un po’ della libertà che gli è stata sottratta.

Un plot che appare in un primo momento in qualità di derivato dal classico Il signore delle mosche, come avvenuto nella saga di successo Maze runner, ma che prende una innovativa direzione dal momento in cui il supervisore dei ragazzi prima viene fuori dal nulla in stato di febbrile agitazione, poi li attacca con violenza.

Perché l’originalità della sceneggiatura a cura di Marie Garel-Weiss sta nel rivelarsi una interessante allegoria in fotogrammi relativa alla crescita e ai cambiamenti spesso negativi che comporta, sfoderando una inedita trovata: gli adulti sono pericolosi zombi.

In un crescendo non privo neppure di situazioni action, ma che, anziché servirsi gratuitamente e con facilità dello splatter, presta grande attenzione alla generale atmosfera di solitudine e abbandono dai toni apocalittici.

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