Mr. Long è un killer taiwanese senza scrupoli. Dopo una missione fallita a Tokyo, viene ferito e si ritrova, spaesato e senza conoscere la lingua del luogo, in un piccolo sobborgo alla periferia della città. Lì conosce il piccolo Jun, un bambino di otto anni che lo aiuta a recuperare le forze e per il quale comincia a cucinare delle zuppe. Pur essendo ancora nascosta la sua vera identità, la fama del talento di Mr Long in cucina si sparge velocemente tra la gente del villaggio, che si adopera per trasformare le sue doti culinarie in una piccola attività redditizia. Per Mr Long è una buona occasione per riuscire a mettere da parte i soldi necessari per poter far ritorno a Taiwan, ma poco prima della partenza…
La lettura della sinossi di Mr. Long, l’ultima fatica dietro la macchina da presa di Tanaka Hiroyuki, in arte Sabu, presentata in concorso alla Berlinale 2017 e dal 29 agosto in sala con Satine Film, fa riaffiorare nella mente dello spettatore di turno una galleria piuttosto affollata di personaggi le cui vicende cinematografiche hanno non poche analogie con il protagonista della pellicola del cineasta nipponico (su tutti il Tae Sik di The Man From Nowhere o il Tom Stall di A History of Violence), ad oggi senza dubbio uno dei più talentuosi del panorama contemporaneo nazionale e internazionale. Ci troviamo in presenza dell’ennesima variate del killer infallibile (o quasi) andato in letargo, che trova lontano da casa una seconda vita e un’opportunità di redenzione. Questo forse farà della quindicesima prova sulla lunga distanza del regista nipponico un’opera meno originale, ma di certo non così fragile e debole dal non poterla considerare riuscita. Resta sicuramente da fare i conti con l’eccessiva lunghezza della timeline, dettata da una serie di parentesi, divagazioni e dilatazioni narrative (vedi i tanti flashback che ricostruiscono i trascorsi di Lily) che ne gonfiano il racconto, senza le quali probabilmente il racconto stesso e le sue dinamiche avrebbero raggiunto una maggiore scorrevolezza, fruibilità e incisività.
Tuttavia, Mr. Long porta sullo schermo un thriller urbano con delle sfumature romantiche, in cui la cucina assume un linguaggio universale e riesce a unire due culture apparentemente distanti, quella taiwanese e quella giapponese. E dove la forza dei sentimenti riesce a scompigliare le carte e scalfire anche i cuori più coriacei. La variante rispetto al già visto sta nell’abilità del killer di turno col coltello, non solo nell’eseguire con precisione i suoi “lavori” su commissione, ma anche nel preparare piatti culinari sopraffini che incantano i commensali. Ingredienti, questi, che espandono gli orizzonti drammaturgici e tematici di un menù già impreziosito dalla presenza di personaggi ben delineati, interpretati con il giusto pathos da un ottimo cast (su tutti Chen Chang, qui alle prese con il magnetico protagonista) e da una regia che non esclude lampi di lirismo per poi accendersi all’improvviso, quando il personaggio principale si vede costretto a tornare in azione con la chirurgica e letale precisione delle sue lame.