Insider – Dietro la verità. Cosa sapere sul film di Michael Mann.
Michael Mann riesce nel difficile compito di coniugare la spettacolarità e i tempi del cinema con argomenti socialmente rilevanti, trovando nella dialettica virile e tautologica dei due protaonisti (Al Pacino e Russel Crowe) materiale per lavorare in modo persuasivo sui concetti di verità ed eticità, coscienza individuale e responsabilità civile
Insider – Dietro la verità, film del 1999 diretto da Michael Mann, con Russell Crowe e Al Pacino, basato su una storia vera. La pellicola è stata tratta da un articolo apparso su Vanity Fair intitolato L’uomo che sapeva troppo; l’articolo raccontava la vera storia di Jeffrey Wigand, l’uomo che aveva rifiutato l’amore per la famiglia per salvare il mondo intero dalla dipendenza delle sigarette.
Il film è stato fotografato dall’italiano Dante Spinotti, già collaboratore di Mann in Heat – La sfida, Manhunter – Frammenti di un omicidio e L’ultimo dei Mohicani. L’opera di Spinotti si caratterizza per una forte impronta realista, quasi da documentario, in cui però si inseriscono alcuni tocchi quasi “visionari. Il film ha ottenuto 7 candidature a Premi Oscar, ha vinto un premio ai Nastri d’Argento e 5 candidature a Golden Globes.
Al Pacino in una scena del film
Sinossi
Il mondo di Lowell Bergman è quello veloce dell’informazione d’assalto: “60 minutes”, programma di punta della Cbs, famoso per le sue interviste di attualità. Quello di Jeffrey Wigand, invece, è un mondo privato, segnato dai ritmi quotidiani della famiglia, sconvolta dal suo improvviso licenziamento dalla multinazionale del tabacco per la quale è dirigente. Wigand è uno scienziato, la sua moralità non può tollerare più quello che vede. Bergman lo marca stretto e lo convince a denunciare. Ma neppure il suo mondo è a posto.
Deviazione manniana,Insiderripercorre, con la sua istanza morale precisa come un colpo di frusta, la strada di quell’Alan J. Pakula che nel 1976 girò un capostipite del cinema americano impegnato, di denuncia, che è Tutti gli uomini del presidente. Questa volta non si tratta di Watergate, ma di un’inchiesta giornalistica che tentò di smascherare i propositi illeciti di una multinazionale del tabacco, che aumentava le dosi di nicotina nelle sigarette per aumentare il consumo delle stesse, provocando grossi danni ai fumatori e ricavando grossi guadagni.
È il solito magnifico Michael Mann, che non sgarra di un millimetro dalla tappa di marcia di una sceneggiatura misurata e dilatata all’ennesima potenza, con il montaggio più forsennato mai visto e un uso (raro) della macchina a mano che ha del miracoloso.
Russel Crowe ci mette del suo per non farsi chiamare fuori scena (e fuori fuoco) dal personaggio camaleontico di Al Pacino, vero manovratore delle sorti del film. Pacino non abbassa mai la guardia e tira fendenti ad ogni scena, ma Crowe risponde sempre magnificamente.
Il finale è adrenalina pura, incorporata nella scena con una dose massiccia di “tempi perduti” e “vecchie glorie” in macerie.
Come si fa a impostare un film, che si basa su un’inchiesta giornalistica, secondo i canoni di un action movie? È una scelta ardua e nobile. Gli eroi di Mann vengono messi in scena come padri di famiglia (e Jessica Lange è un punto debole del film, ma poco importa nel complesso del film) e non come vipere disperate assetate di sangue, quali, ad esempio, il Vincent che fa di Collateral un vero capolavoro di astuzia compresso nella filigrana al neon; e nemmeno come romantici ingegneri del crimine in cerca di una redenzione come l’altro Vincent manniano di Heat.
È la realtà, il desiderio di verità che viene messo in scena, capace di far luce su un aspetto oscuro della recente storia americana. Mann è un cineasta della forma e del rispetto attoriale e spettatoriale.