BlacKkKlansman di Spike Lee, dopo il successo avuto all’ultimo Festival di Cannes, dove ha vinto (meritatamente) il Grand Prix Speciale della Giuria, è stato presentato al 71 Locarno Festival in piazza Grande ricevendo grande apprezzamento.
Il film è tratto dalla storia vera del poliziotto di colore Ron Stallworth della polizia di Colorado Springs (interpretato da John David Washington, figlio del famoso attore Denzel) che si infiltrò nel Ku Klux Klan fino a diventarne il capo sezione e incontrare il direttore Dave Duke e sventare un attentato contro la presidentessa della locale organizzazione degli studenti neri, con l’aiuto del collega ebreo Flip Zimmermann (un Adam Driver convincente).
Il regista afroamericano Spike Lee con BlacKkKlansman ritorna ai fasti dei suoi film migliori, dopo un periodo di appannamento, mettendo in scena un vero e proprio happening visivo, scrivendo una sceneggiatura che nuovamente prende una posizione politica netta contro il razzismo imperante negli Usa. La denuncia di Lee si fa esplicita raccontando un episodio della lotta dei diritti civili della popolazione nera negli anni Settanta, facendo un parallelismo con i giorni nostri. A distanza di quarant’anni non è cambiato nulla: continua a esistere un razzismo non solo strisciante ma dichiarato ed esplicito, fino a collegare il motto del KKK, America First, con quello della campagna politica dell’attuale presidente Donald Trump che, nei recenti scontri a Charlottesville tra gli uomini dell’ultradestra razzista e i gruppi dei diritti civili, ha esternato dichiarazioni pubbliche a favore della parte più oltranzista e oscurantista della politica americana.
Lee riprende il discorso di Malcom X (ed è emblematico che ci sia anche un collegamento tra l’attore dell’epoca Denzel Washington con il proprio figlio) a denotare un continuum culturale mai spezzato, dove il tempo passa ma le discriminazioni razziali resistono nella provincia americana, ventre molle da cui Trump ha preso voti per essere eletto alla presidenza.
Il regista afroamericano con BlacKkKlansman non si ferma però solo al contenuto politico più evidente del suo cinema – fil rouge tematico che contraddistingue tutte le sue pellicole principali, costruendo un grande e unico affresco afroamericano contemporaneo – ma compone stilisticamente un’opera che raggruppa tutta la cultura del suo popolo: dal cinema blaxploitation anni Settanta con citazioni dei principali film da Shaft a Superfly e alla Foxi Brown di Pam Grier, icona del genere; dalla presenza di Harry Belafonte che racconta ai giovani studenti simpatizzanti l’organizzazione delle Black Panters un episodio di un linciaggio di un uomo di colore nel 1917.
Proprio in quest’ultima sequenza, Lee effettua un montaggio alternato con la riunione degli uomini e delle donne del KKK che assistono alla proiezione di Nascita di una nazione di D.W. Griffith, dove appunto s’inneggia e si spiega la creazione dell’organizzazione razzista contro i neri dipinti come animali alla fine della guerra di Secessione. E Lee impiega l’elemento filmico utilizzato da Griffith per effettuare un ribaltamento stilistico del linguaggio cinematografico e contrapporlo artisticamente all’opera griffithiana, condannando un tipo di cinema che ha fomentato e giustificato il razzismo americano. Del resto, l’incipit di BlacKkKlansman è una sequenza di Via col vento, dove si inneggia al potere dei sudisti, oltre a una sequenza falso-documentaristica in cui il Dr. Kennebrew Beauregard (interpretato da Alec Baldwin) spiega l’inferiorità razziale del popolo nero.
Lee utilizza diverse forme, fondendo generi come il poliziesco anni Settanta, la commedia, il thriller, il film politico, il documentario (la sequenza finale dei fatti di Charlottesville), riuscendo a rendere tutti gli elementi in un perfetto equilibrio formale.
Anche il lavoro sul profilmico è notevole con la ricostruzione di un’epoca attraverso i costumi e le capigliature che diventano simboliche di un’identità culturale. Così, come le riprese effettuate in modo classicheggiante frammentate da elementi postmoderni: il montaggio sovrapposto dei volti e degli uomini durante un convegno di un leader delle Pantere Nere agli studenti locali; lo split screen tra Ron Stallworth e Dave Duke durante i loro colloqui telefonici; la carrellata in avanti dei due protagonisti armati nel prefinale che avanzano verso la finestra che incornicia una croce in fiamme fino ad allargare l’inquadratura in un campo lungo con i componenti del KKK intorno al fuoco.
Insomma, BlacKkKlansman è un manifesto estetico-politico di grande afflato storico in cui tutti gli elementi stilistici concorrono a dipingere un quadro socio-culturale le cui radici affondano nella Storia americana che rimane tuttora inalterata. E Spike Lee utilizza il mezzo cinematografico per denunciare, con voce forte e chiara, una ribellione senza fine, una lotta per i diritti civili di un popolo che è ancora in atto, creando un’alternativa scopica a una diffusione visiva di un manicheismo storico tra bianchi (buoni) e neri (cattivi), creando criticamente un complesso coacervo formale per ristabilire la realtà dei fatti