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71 Locarno Festival: Diane di Kent Jones raffigura il ritratto di una donna nella sua ultima stagione

Diane di Kent Jones è un film sulla fine, sussultorio, raffigurante una donna libera e indipendente, che dona fino agli ultimi istanti tutta se stessa; un ritratto accorato, effettuato in un momento della vita in cui s'inizia a compiere un bilancio della propria esistenza

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Diane di Kent Jones è un ritratto di donna accorato, effettuato in un momento della sua vita in cui s’inizia a compiere un bilancio della propria esistenza. Ambientato nella profonda provincia del nord est americano, quasi al confine con il Canada, Jones mette in scena i rapporti familiari di una donna giunti a un momento cruciale: da un lato, la cugina sta morendo di cancro ricoverata in ospedale, dall’altro il rapporto problematico con il figlio drogato Brian (Jake Lacy).

Kent Jones è un critico cinematografico e autore di documentari e insieme al suo maestro Martin Scorsese ha co-diretto in precedenza Lady by the Sea: The Statue of Liberty (2004) e A Letter to Elia (2010) (di cui è produttore esecutivo di Diane). Questo film presentato in prima internazionale in concorso a Locarno è la sua prima opera di finzione. Ma dobbiamo dire che lo sponsorship scorsesiano si ferma qui: Jones riesce a creare un’opera originale, ben scritta, tesa nel suo sviluppo narrativo, utilizzando ellissi narrative per raccontare gli ultimi capitoli di una vita di una donna qualunque, con le sue tragedie e i legami di una famiglia vasta, composta da zie, nipoti, cugine, dove la figura femminile è predominante rispetto a quella maschile, rappresentata da uomini che sono posti in seconda fila, pieni di acciacchi, mentre, invece, le donne sono forti, volitive, ancora piene di vita fino all’ultimo momento in una linea matriarcale ben definita e strutturata

Del resto, il rapporto con la cugina è emblematico: Diane si sente in colpa per aver abbandonato il marito e il figlio quand’era giovane, fuggendo con il fidanzato della cugina. C’è un breve dialogo significativo, in cui la cugina dice di aver perdonato Diane, ma che non può dimenticare l’accaduto. Questo senso di colpa della donna è una pesante catena che si porta appresso e per alleggerirla cerca in tutti i modi di essere di aiuto agli altri: sia per familiari, sia per quelli che non hanno niente, svolgendo attività di volontariato presso una mensa per i poveri.

Nella prima parte di Diane, Jones rivela i diversi collegamenti tra la protagonista e le sue parenti. Ci sono linee narrative che s’incrociano in una scrittura cinematografica limpida: quella del rapporto con la cugina; il tentativo di salvare il figlio dalla droga; il forte legame con Bobbie (Andrea Martin), la migliore amica con cui divide confidenze e il lavoro alla mensa dei poveri.

Dopo la morte della cugina, abbiamo una seconda parte in cui la fabula, invece di proseguire in modo circolare, si muove diretta come un fuso, in cui lentamente gli anni passano, e attorno a Diane iniziano a scomparire le persone a lei care: Bobbie, le zie, i parenti e finanche suo figlio, che riesce a liberarsi dalla droga avvicinandosi alla chiesa e allontanandosi per sempre dalla madre.

Jones immerge la sua protagonista (Mary Kay Place, che riesce a tratteggiare i sommovimenti emotivi interiori con grazie e gravità) in un paesaggio perennemente invernale, freddo, grigio, utilizzando una fotografia dai colori pastello tendente al grigio dai toni desaturati, con una messa in quadro pulita e dagli spazi limpidi. La solitudine della fine di un’esistenza è mostrata metaforicamente in modo inequivocabile in una sequenza in cui vediamo la protagonista camminare, sola, in mezzo a un bosco di alberi spogli, immersi nella neve. Diane si muove in mezzo agli alti fusti, apparendo come una di quelle piante secolari, dritta e, comunque, piena nel suo incedere, pregna della vita vissuta intensamente.

Diane è un’opera sull’ultimo periodo di una vita, quello invernale – altra metafora potente della pellicola –, che non cade nel pietismo né nel melodrammatico, riuscendo a essere costantemente sul filo dell’emotività in absentia, con una recitazione in sottrazione della brava protagonista (che a questo punto si candida a un premio finale). Una figura femminile, quella di Diane, forte, sconfitta dalla vita, ma non vinta, che dolcemente si spegne fino ad arrivare all’ultima inquadratura dove, ormai anziana, improvvisamente sente le voci di coloro che non ci sono più e sembrano chiamarla a loro per il viaggio finale.

Non è mortifero né angosciante Diane, ma è un film sulla fine, sussultorio, raffigurante una donna libera e indipendente, che dona fino agli ultimi istanti tutta se stessa. La libertà per Jones è anche il coraggio di saper lottare per esserci sempre. Di non risparmiarsi mai per un’esistenza piena e contro qualsiasi ostacolo o prova ci siano imposti. Mentre gli occhi di Diane si chiudono, termina la sua storia e quella filmica, così da costruire un parallelo tra cinema e vita, perché il cinema è vita.

  • Anno: 2018
  • Durata: 95'
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: USA
  • Regia: Kent Jones

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