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Film da Vedere

Katzelmacher: con sguardo gelido Rainer Werner Fassbinder metteva alla berlina la piccola borghesia tedesca della fine degli anni ’60

Al netto della chiara stigmatizzazione della grettezza, della mediocrità e dell’insensatezza della cultura piccolo-borghese, ciò che fa la differenza in Katzelmacher è l’algida estetica prodotta dallo sguardo glaciale di Fassbinder, che condanna i soggetti della sua rappresentazione a essere immobili, aridi, privati di qualsivoglia slancio vitale

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Katzelmacher è un’espressione bavarese spregiativa con cui venivano chiamati i lavoratori immigrati dell’Europa meridionale. L’appellativo allude alla loro presunta intensa prolificità, mentre l’etimologia corretta indica il “fabbricante di cazze“, artigiano proveniente per lo più dalla Val Gardena, specializzato nella produzione di mestoli (Gatzeln) in legno e in rame. Un’ulteriore etimologia deriva dallo svizzero-tedesco e individua specificatamente i lavoratori italiani (soprattutto del Sud) molto presenti dalla fine degli anni ’50 alla fine degli anni ’70 in tutta la Svizzera interna, con contratti stagionali. L’accezione è riferita appunto all’attitudine ad avere molti figli (Katzenmacher significa, infatti, “fabbrica gatti“).

Cominciare dal titolo, per parlare del secondo lungometraggio di Rainer Werner Fassbinder (il primo era L’amore è più freddo della morte, 1969), Katzelmacher (Il fabbricante di gattini), è utile per comprendere quanto disprezzo già serbava a ridosso degli anni ’70 la piccola borghesia della Germania Federale nei confronti dell’altro, di chi veniva percepito come non appartenente al proprio ordine di simbolico di riferimento. Nel film di Fassbinder il Katzelmacher (da lui stesso interpretato) viene appellato con termini assai dispregiativi, quali, per esempio, “negro” e “comunista”; fin dalla sua prima apparizione è visto come un elemento di disturbo, un pericolo che dev’essere estirpato, che non si esita a calunniare, pur di ridurlo a sacrificabile capro espiatorio. Ma al di là della chiara stigmatizzazione veicolata dal regista tedesco (che già aveva messo in scena questa storia nell’omonimo spettacolo teatrale) della grettezza, della mediocrità e dell’insensatezza della cultura piccolo-borghese, ciò che salta prepotentemente all’occhio dello spettatore è l’originalità formale della messa in scena, che costituirà la cifra stilistica di gran parte della filmografia successiva. Ciò che più conta in questa rappresentazione sono i silenzi, l’immobilità degli interpreti e la fissità delle inquadrature, fattori evidentemente funzionali a restituire un mondo congelato, arido, privo di vita. Le coppie che sfilano durante i circa 86 minuti di visione sono incagliate in rapporti di forza, non vi è in esse la benché minima dinamica amorosa, laddove ognuno guarda al proprio tornaconto. Il denaro, manco a dirlo, incarna il ruolo di mediatore evanescente su cui, al netto delle scarne chiacchiere, investire le poche energie vitali rimaste.

Ma Fassbinder trova un ulteriore guizzo stilistico: la messa in scena è sistematicamente intervallata da alcune passeggiate in un vialetto in cui, ogni volta, i personaggi fanno il punto della situazione, dimostrando un’irriducibile incapacità di comprendere quanto accade e, soprattutto, palesando la loro sistematica malafede. Ma ciò che più colpisce è che a queste piccole ‘traversate’ il regista sovrappone un’ingenua e ipnotica musica, quasi per sottolineare la dimensione tranquillizzante di un malsano rito. Impossibile, in tal senso, non pensare al meraviglioso concetto coniato da Gilles Deleuze e Félix Guattari in Millepiani. Capitalismo e schizofrenia, in cui, per l’appunto, si parlava di un ritornello, ovvero di una musica che il soggetto ‘si fischietta’ durante il movimento di deterritorializzazione per evitare di essere vittima di un eccessivo disorientamento che gli impedisca la prosecuzione del cammino. Nel film di Fassbinder, al contrario, questo ritornello serve solo a confermare, attraverso una manifesta e miserabile disonestà intellettuale, quanto i protagonisti siano in balia di una ‘cultura’ che non gli consente di leggere la realtà per quello che è. Solo Marie (ancora una volta la splendida Hanna Schygulla, veterana del cinema di Fassbinder) riesce a vedere l’innocenza e l’innocuità di Jorgos (è un uomo di origine greca, anche se tutti all’inizio credono sia un immigrato italiano).

Insomma, al netto, della messa alla berlina di un mondo antropologicamente decrepito e moribondo, ciò che fa la differenza in Katzelmacher è l’algida estetica prodotta dallo sguardo glaciale di Fassbinder, che condanna i soggetti della sua rappresentazione a essere immobili, aridi, privati di qualsivoglia slancio vitale. La pulsione di morte (qui nella sua unica accezione negativa) circola liberamente e trasuda dal bianco e nero argenteo di ogni fotogramma. A tal proposito non si può omettere di segnalare l’ottimo lavoro svolto dal direttore della fotografia, Dietrich Lohmann, il quale, di concerto con il regista, ha reso il film una suite frammentata di episodi, in cui il minimo comun denominatore è la follia di un’umanità diretta a velocità sostenuta verso la fine, incapace finanche di cogliere quelle opportunità di rigenerazione che pure gli si presentano. Con Katzelmacher Fassbinder inaugurava una nuova modalità di fare cinema, contrassegnata dalla possibilità di produrre opere a bassissimo costo e con grande velocità di esecuzione, a dimostrazione di come a fronte di un’idea di cinema (e non un cinema di idee) fosse possibile sganciarsi dai circuiti convenzionali, raggiungendo comunque risultati egregi. Un film, l’opera seconda del regista tedesco, da vedere e rivedere, su cui non smettere di tornare a meditare.

Pubblicato e distribuito da Viggo e Ripley’s Home Video, Katzelmacher è disponibile in dvd, in formato 1.33:1 con audio in italiano e in tedesco e sottotitoli opzionabili. Nei contenuti speciali è presente il trailer e una conversazione con il regista Antonio Latella. All’interno della confezione un booklet con alcune informazioni sul film.

  • Anno: 1969
  • Durata: 86'
  • Distribuzione: VIGGO, Ripley's Home Video
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Germania Federale
  • Regia: Rainer Werner Fassbinder

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