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Personaggi

È morto Carlo Vanzina, un regista che ha raccontato con la commedia il nostro paese

I film diretti da Carlo Vanzina avevano e anzi hanno un valore aggiunto, quel quid che li consegna alla Storia e che li rende visione imprescindibile a ogni riproposizione televisiva - e sono tante! -: l’amore. Sono film fatti col cuore, opere nate dalla passione di un uomo che era prima di tutto un accanito cinefilo

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Il mondo del cinema è un mondo strano: a parte, forse, con regole tutte proprie e storture abissali. Vivere e morire di cinema genera quindi non pochi rischi, tra cui quello di perdere il senso di realtà. Passare la vita e le giornate a scrivere e parlare di cinema, respirando e parlando di un mondo che ha leggi tutte sue, è una condizione privilegiata – secondo alcuni – ma ha delle contropartite: tra cui quella di apparire – o, più precisamente, essere visto – come ciò che non si è.

Si è spento la notte dell’8 luglio Carlo Vanzina, figlio di Steno e fratello di Enrico: una famiglia che ha, nel vero senso della parola, vissuto e prodotto cinema fino all’ultimo, quel cinema “fatto in casa” ma mai casalingo, un Cinema con la C maiuscola, che se ne fregava delle mode e anzi le creava, andava avanti per la sua strada raccontando fatti di gente (poco, a volte) per bene e analizzando la società e l’attualità, per poi restituirle sotto forma di quel genere che ha fatto la fortuna dell’Italia e che è forse il più bistrattato e contemporaneamente più amato da tutti, la Commedia.

È noto come la Commedia all’italiana sia stata creata dalla trinità profana Monicelli-Scola-Risi: ma senza nulla togliere o aggiungere a quel patrimonio, chissà se da oggi nei libri dove si parlerà del genere si aggiungerà il nome di Carlo Vanzina?

Si sa, in Italia abbiamo il brutto vizio di glorificare un artista solo quando non c’è più.

Se il nome di Steno è indissolubilmente legato a un periodo dorato per la cinematografia italica e stretto forte a nomi ormai leggendari (Totò, per dirne una, che Steno diresse in ben 12 film anche tra i più famosi; ma anche Alberto Sordi, Johnny Dorelli, Paolo Villaggio, Bud Spencer….), quello di Carlo – regista – ed Enrico – sceneggiatore – è nei crediti di una sessantina di film con praticamente tutto il gotha del cinema italiano degli anni ’70-’80-’90.

Partendo da Christian De Sica e Massimo Boldi, passando poi per Raoul Bova, Maurizio Mattioli, Jerry Calà, Claudio Amendola, Gigi Proietti, Diego Abatantuono, Vincenzo Salemme, Ricky Memphis, Marina Suma, Enrico Montesano, Enrico Brignano, Monica Bellucci, Michele Placido, Ornella Muti, Edwige Fenech, Nancy Brilli… e chi più ne ha più ne metta.

Riallacciandoci, quindi, alla prefazione di sopra, non è vero come pensano in molti e come stanno scrivendo tanti che i Vanzina hanno prosperato con il filone cosiddetto vacanziero.

Loro quel filone l’hanno “semplicemente” creato, con due piccoli gioielli come Sapore di Mare e Vacanze di Natale (entrambi del 1983, uno sorta di sequel apocrifo dell’altro, nato sull’onda del successo del primo ma non meno valido), così come hanno creato tanta altra roba che poi ha figliato spesso e volentieri robetta, come il ripescaggio di atmosfere vintage e/o retrò dilagante successivamente in buona parte del nostro cinema peggiore.

Ma i film diretti da Carlo Vanzina avevano e anzi hanno un valore aggiunto, quel quid che li consegna alla Storia e che li rende visione imprescindibile a ogni riproposizione televisiva – e sono tante! -: l’amore.

Sono film fatti col cuore, opere nate dalla passione di un uomo che era prima di tutto un accanito cinefilo, cresciuto sui set – il primo film del padre Steno era co-diretto da Monicelli, che è stato poi una sorta di “maestro” per Carlo – a pane e celluloide.

Film mai girati per calcolo o per far cassetta (alcuni sono stati dei flop colossali: forse i più sentiti), ma immersi e anzi impregnati di un’atmosfera unica e sempre coerente con se stessa, probabilmente di grana grossa in alcuni casi, ma mai buttati via, perché senza pudicizie o intellettualismi hanno voluto raccontare vizi e virtù dell’italiano medio, proprio anzi con quella necessaria “medietà” (da non confondersi con la mediocrità, attenzione) indispensabile per far sì che i personaggi risultassero veri e mai a tema.

Fieramente popolari.

Personaggi, poi, resi da attori non sempre di livello, certo: ma sempre e comunque diretti in maniera impeccabile, così da farne risultare con più evidenza le doti, fosse anche la sola immedesimazione con il personaggio.

Chi scrive ha sempre difeso il cinema “commerciale “ di Carlo ed Enrico Vanzina: che non poteva che venire da due persone perbene, due signori di onestà intellettuale disarmante ma lucidissima, e che non possono che ricevere amore perché solo amore hanno dato, nel Cinema.

E averli conosciuti di persona, avendo tastato quindi con mano il loro garbo, la loro sensibilità, la loro signorilità soprattutto, non può che essere ulteriore conferma di un pensiero critico dominante.

È per questo che Carlo Vanzina vogliamo ricordarlo così: sfatando luoghi comuni, negandogli la paternità di tanti filmacci che hanno però decretato il successo di un filone da lui creato (insieme all’inossidabile fratello Enrico, da non dimenticare: fine pensatore e intelligente scrittore), e citando solo alcuni titoli presi dalla sua magmatica produzione.

A partire da quelli meno noti, e andando a ritroso: Non Si Ruba A Casa Dei Ladri (2016), con i fantastici quattro Salemme-Ghini-Rocca-Arcuri forse nei loro ruoli da commedia migliori e più sapidi; Mai Stati Uniti (2013), con Salemme-Angiolini-Memphis-Foglietta, riflessione malinconica sui perduti valori familiari, a cui una comicità a tratti sbracata evita il patetismo; In Questo Mondo Di Ladri (2004) che con Non Si Ruba… e I Mitici (1994) forma un trittico effervescente che attualizza in maniera mai banale il succo de I soliti Ignoti (guarda caso, di Monicelli) e mette alla berlina mentre glorifica il pregio tutto italiano di tirare fuori il meglio e il peggio di sé nei momenti di crisi; e Il Pranzo Della Domenica (2003), collage familiare dove chiamare gli attori con i propri nomi reali – Massimo Ghini, Barbara De Rossi, Rocco Papaleo, Maurizio Mattioli, Elena Sofia Ricci, Giovanna Ralli – mette in evidenza una sincerità narrativa a tratti emotivamente dolorosa. Chiudendo con quello che è forse il suo capolavoro, Sapore Di Mare, del 1983.

Uno dei film italiani che ha meglio saputo raccontare l’amore che con tutte le sue bugie e disillusioni è incredibilmente simile alla vita; e che contiene, sul finale, uno dei campo-controcampo di sguardi (fra Jerry Calà e Marina Suma: due attori che probabilmente non hanno più toccato tali vertici) più belli, significativi, precisi, dolorosi di tutta la nostra produzione.

Come una celeste nostalgia di un tempo che ormai, forse, non tornerà mai più.

GianLorenzo Franzì

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