Chi scrive, a torto o a ragione, nel corso degli anni si è convinto di conoscere giusto un italiano stentato e un inglese tanto improbabile, quanto quello di Renzi. L’idea che nell’Ottocento sia vissuto invece uno studioso, per giunta autodidatta, giunto grazie a un carattere metodico e al proprio innato talento a parlare ben 75 idiomi, appartenenti poi a ceppi linguistici assai diversi tra loro, non poteva certo lasciarci indifferenti. Soprattutto se si pensa che l’esistenza di tale figura l’abbiamo appresa attraverso un raffinato biopic animato, attento sia alla dimensione del linguaggio cinematografico che a quella linguistica in senso lato.
Prima che al Future Film Festival 2018 iniziasse la proiezione di The Man Who Knew 75 Languages, sono state le parole della stimata regista e fotografa Anne Magnussen a colpirci. In pratica il sunto di una ricerca durata svariati anni. Non soltanto le parole, in realtà, ma anche la provenienza dell’autrice, visto che questa cineasta così interessata ai fenomeni linguistici è di nazionalità norvegese proprio come l’attrice Gørild Mauseth, la cui appassionante sfida alla lingua russa (affrontata peraltro in ambito teatrale) ci era stata raccontata nel corso dell’ultimo Trieste Film Festival in un bellissimo documentario, Karenina & I di Tommaso Mottola.
Lo studio del linguaggio verbale al centro di entrambi i lavori, volendo. Per quanto concerne nello specifico The Man Who Knew 75 Languages, ciò che però ci ha impressionato è anche l’uso disinvolto e creativo del rotoscoping, tecnica di animazione che prevede l’interazione con scenari naturali e attori in carne e ossa.
Coniugando un utilizzo estremamente calibrato di tale tecnica con l’approfondimento storico linguistico della classica figura bigger than life, Anne Magnussen ci ha regalato un racconto teso, sapido, ricco di riferimenti culturali e a tratti profondamente empatico, considerando che del geniale Georg Sauerwein, posto al centro della narrazione, non ci vengono narrati solamente i meriti in ambito linguistico ed etno-musicologico, non soltanto le ricerche portate avanti in varie zone europee, ma anche le alterne fortune della vita privata. Compresa una sofferta vicenda sentimentale tra lui e la Principessa Elisabeth di Wied, della quale il giovane fu anche tutore, che non mancherà di coinvolgere gli spiriti più delicati.