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Taxidrivers Magazine

Dirigere la macchina da presa di Gil Bettman: la macchina da presa mobile e “la regola di Bob”

Dirigere la macchina da presa di Gil Bettan può costituire un'occasione per ribadire l’importanza di una consonanza tra pratica e teoria, soprattutto nel nostro tempo, in cui il miglioramento tecnologico ha reso più vicine le pratiche di ripresa e montaggio

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Se mentre osserviamo un film si spegnesse la scena e ci ritrovassimo con lo schermo buio davanti cosa accadrebbe? Questo è l’interrogativo che si è posto Gil Bettman nel suo libro Dirigere la macchina da presa, un volume di 198 pagine per i tipi Dino Audino, nel quale ha cercato di rispondere a questa domanda con spiegazioni suggestive e ricche di commenti sui movimenti della macchina da presa.

Come si dice nel primo capitolo: se un regista vuol fare un buon film non potrà non tenere conto degli insegnamenti di questo libro, dove viene evidenziato quanto sia importante una sinergia totale fra il regista e il direttore della fotografia; i due devono arrivare ogni volta a una sintesi creativa attraverso decisioni collettive che si compenetrano le une con le altre. Allo stesso modo viene messo in evidenza il fatto che per riuscire a realizzare ottimi film non occorrono grossi finanziamenti come hanno dimostrato cineasti innovativi quali Lars von Trier con Le onde del destino o Fernando Meilleres con City of God e Wong Kar-Wai con Angeli perduti, o Alejandro Inarritu, Alfonso Cuaron, tutti registi che con l’esiguo budget di cui disponevano non potevano permettersi l’acquisto di piattaforme mobili per la cinepresa come gru, gru a braccio o dollywood costosi, ma ognuno di loro è riuscito a far volare la propria macchina da presa come Campanellino, montandola su carrelli elevatori, furgoni e skateboard. In questo modo sono stati in grado di annunciare al mondo l’arrivo sulle scene di una nuova forza che avrebbe portato la settima arte a scalare inedite vette. La loro creatività è stata premiata dal pubblico che ha potuto apprezzare le storie con maggior intensità e compartecipazione.

Muoversi con la macchina da presa è diventato oggi un requisito standard a livello globale. Alcuni cineasti girano ancora con la cinepresa fissa, ma sono per lo più una razza in estinzione; da diversi anni la cinepresa mobile ha cominciato a essere la norma e per muoverla esiste una semplice norma che si riassume con la “Regola di Bob”, intendendo con questo nome Bob Zemeckis, e che è stata applicata da tutti i registi sin dai tempi dei fratelli Lumière. La regola si basa sul principio universalmente riconosciuto che la storia sia la componente più importante di un film, per cui tutto il resto, a partire dalla musica fino al montaggio, dovrebbe essere al servizio della storia stessa. Risulta quantomai importante, sotto questa ottica, che i movimenti della macchina da presa valorizzino quanto viene narrato nella storia. Nessuno, ci dice l’autore, va al cinema per osservare i movimenti della macchina da presa, quanto piuttosto per compiere un fantastico viaggio nelle vite straordinarie dei protagonisti delle storie e insieme a loro provare a sfidare gli eventi. L’autore parte da questi assunti per introdurci nel mondo invisibile dei movimenti della macchina da presa: interni, esterni, d’ambientazione, per poi mostrarcene con fotogrammi e immagini tutte le potenzialità e le fascinazioni.

Come si legge nella quarta di copertina scritta da M. Guerri: “…Nello sviluppate il suo tema, Bettman alterna la praticità del suo lavoro di produttore e regista fra cinema e televisione..alla vocazione didattica che è invece parte della sua vita accademica…Man mano che si legge il libro ci si rende così conto che esso assolve perfettamente due funzioni di notevole rilevanza….”.

Dirigere la macchina da presa può dunque costituire un’occasione per ribadire l’importanza di una consonanza tra pratica e teoria -soprattutto nel nostro tempo, in cui il miglioramento tecnologico ha reso più vicine le pratiche di ripresa e montaggio – e soprattutto per interfacciarsi serenamente con quella che Bettman chiama “la tigre da 100 milioni di dollari”, e cioè il cinema “grande”, quello che ogni giovane che mette mano a una videocamera sogna prima o poi di vedere da vicino.

Gil Bettman, regista statunitense e docente di Cinema presso la Chapman University di Los Angeles. Ha studiato Scrittura Creativa con Robert Lowell a Harvard e nel 1970 ha vinto il premio Harvard per l’eccellenza letteraria. Ha diretto film tra i quali Crystal Heart, Mai troppo giovane per morire e Night vision e diversi episodi delle serie televisive Supercar, Professione pericolo e Truck Driver.

Paola Dei

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