Un film del 2010 diretto da François Ozon, liberamente adattato all’omonima pièce teatrale di Pierre Barillet e Jean-Pierre Grédy del 1983. Il film è stato presentato in concorso alla 67ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia ed è stato nominato per il Premio Magritte alla migliore coproduzione straniera. Dopo essere stato presentato in concorso alla Biennale 2010 ed essere stato selezionato per il Toronto International Film Festival, il film è uscito nelle sale francesi il 10 novembre 2010, distribuito da Mars Distribution. In Italia il film è stato distribuito da BiM Distribuzione il 5 novembre 2010. Con Catherine Deneuve, Gérard Depardieu, Fabrice Luchini, Karin Viard, Judith Godrèche.
Sinossi
Francia, fine anni 70. Pujol è un ricco industriale dai modi dittatoriali, che in seguito a uno sciopero che culmina con un suo sequestro di persona da parte dei suoi operai, decide di lasciare la città per rimettersi in sesto. In sua assenza sarà la moglie, all’apparenza dimessa, a prendere le redini dell’azienda rivelandosi insospettabilmente concreta.
La recensione di Taxi Drivers (Luca Biscontini)
François Ozon scherza. Si diverte, da un po’ di anni a questa parte, a mettere in scena commedie in cui gli elementi del comico e del glamour prendono il sopravvento, anche se le questioni trattate sono assolutamente serie, come quella dell’emancipazione femminile. Come per i precedenti Gocce d’acqua su pietre roventi e 8 donne e un mistero, anche stavolta traspone cinematograficamente una piece teatrale, Potiche di Barillet e Grédy, cambiandone alcuni elementi, ma rimanendo fondamentalmente fedele allo spirito del testo, dando vita a una commedia trasudante anni Settanta in ogni dettaglio. Il suo è un omaggio divertito al cinema del passato, colorato e pop, ma sapido nella sceneggiatura e nella regia, che non sbava una sequenza: l’impianto teatrale, ben lungi dall’essere un limite, è una partitura dal ritmo ineccepibile.
Catherine Deneuve (Suzanne), Gérard Depardieu (Babin) e Fabrice Luchini (Robert) sono i tre protagonisti attorno ai quali ruota una storia articolata, ambientata alla fine degli anni settanta: Robert è l’odioso padrone di una fabbrica, sposato con Suzanne, la statuina (il termine potiche indica un soprammobile decorativo, ma assolutamente non funzionale, diciamo un vaso), mentre Babin è il deputato comunista (quando il partito comunista in Francia otteneva il 20 per cento dei voti, e in Italia il trenta), con il quale la non più giovane signora aveva, anni prima, intrattenuto una fugace storia d’amore.
Già dai titoli di testa, in cui lo schermo è parcellizzato in più immagini dove vediamo Suzanne correre in un meraviglioso parco e poi conversare con tutti gli animaletti che incontra, è evidente l’iconografia fortemente anni settanta, colorata, divertente, amabilmente anacronistica.
Al centro della narrazione di Potiche c’è lo sciopero selvaggio che i lavoratori della fabbrica di Robert stanno tenacemente portando avanti, ma Ozon, che non è Godard (considerazione questa non di valore, ma solo di stile), ci costringe ad assistere a questa situazione dalla prospettiva della famiglia borghese del padrone, perché ciò che gli interessa non è la lotta di classe, ma la differenza di genere. Suzanne da oggetto decorativo e passivo (neanche tanto poi: alcuni divertenti flash-back ci fanno scoprire un’inaspettata e molto intensa attività extra coniugale) prende sempre più coscienza della sue capacità e quando assume le redini della fabbrica, giacché il marito nel frattempo è stato colto da un infarto, si dimostra assi capace. La statuina comincia a muoversi, e il risultato è la rottura degli equilibri (patriarcali) che, fino ad allora, avevano retto la famigliola gaiamente reazionaria.
A completare il quadro ci sono il figlio omosessuale e incestuoso, la segretaria, tipica donna oggetto, amante di Robert, che poi si schiererà dalla parte della moglie, la figlia apparentemente ribelle e invece profondamente conservatrice. Una storia vivace, divertente che vede il trionfo del femminile.
Certo, potremmo dire che Ozon si è lietamente intrattenuto con la sovrastruttura, ma la sua è una scelta ben precisa e, allora, non resta, con serenità di coscienza, che consigliarvi la visione di questo film: cento minuti gradevoli che non vi deluderanno.