Esaminando le opere del Bardo immortale, William Shakespeare, vi è di sicuro The Tragedy of Macbeth tra quelle che nel corso del tempo sono andate incontro agli adattamenti cinematografici più stimolanti, creativi, interessanti, tesi – persino qualora l’approccio appaia discutibile – a propiziare analisi ben strutturate e confronti di idee anche piuttosto accesi. Si va dalla mirabolante traslitterazione della tragedia nell’immaginario nipponico compiuta da Akira Kurosawa nel 1957, con Il trono di sangue, fino a episodi più recenti, come ad esempio il tanto discusso Macbeth di Justin Kurzel (2015) con Michael Fassbender protagonista. La “gallery” viene ora ad allargarsi e ad arricchirsi, per merito di un sorprendente mediometraggio italiano che ondeggia tra reminiscenze di Carmelo Bene ed estetica steampunk, tra una fotografia di taglio espressionista e scenari post-industriali: Macbeth Neo Film Opera di Daniele Campea.
In un listino particolarmente vario e sfaccettato, quale può apparire quello sdoganato qualche settimana fa da Distribuzione Indipendente, un esordio del genere ambisce in qualche modo ad essere il fiore all’occhiello, tanto per la ricerca formale che per il coraggio di fondo. Un coraggio riscontrabile anche nella durata così snella che contraddistingue il film, fattore questo visto talvolta (ed erroneamente, se si assolutizza con un pizzico di arbitrarietà il principio) dagli esercenti come un ostacolo alla fruizione in sala. Già, perché in 50 minuti circa il giovane Daniele Campea è riuscito invece a condensare un seducente, magnetico flusso di immagini, attraverso il quale il succo della tragedia scespiriana entra in comunione coi frutti di un buon teatro di ricerca e con uno sguardo affine alla video-arte, asciugato però dei suoi orpelli più ermetici ed auto-referenziali.
Partiamo ovviamente dal presupposto che il pubblico conosca, almeno a grandi linee, l’ossatura drammaturgica del Macbeth. Ciò che ci piace rimarcare è la rilettura in chiave dark portata avanti da Campea con uno stile coerente e ben definito, studiatissimo a partire dal bianco e nero così contrastato di Federico Deidda, autore qui di una fotografia alquanto ricercata, superba, perfettamente in grado di esaltare le componenti ruvide e metalliche di un pro-filmico allestito con grande accuratezza: gli ambienti stranianti di uno stabilimento dismesso della Heineken si sono prestati bene allo scopo, magnificando dal punto di vista scenografico il lavoro compiuto sul make up dei personaggi, su quei loro costumi borchiati e futuristici, sullo spiazzante alternarsi di interni ansiogeni e di piani ravvicinati dei volti dall’impronta ancor più asfittica e disturbante. In ciò Macbeth Neo Film Opera è veramente la celebrazione attraverso il linguaggio filmico del precedente lavoro teatrale, approntato nella stessa location, cui il regista si è appoggiato riprendendone alcune delle intuizioni sceniche e interpretative più felici: tra tutte risalta l’ottimo binomio femminile sul quale si è voluto fondare il criminale, decadente, forsennato dialogo al quale danno vita il protagonista e Lady Macbeth, impersonati qui da due donne dotate di un’espressività facciale davvero intensa, Susanna Costaglione e Irida Gjergji Mero. Complici alcuni azzeccatissimi tagli di luce, i loro volti emergono caravaggiascamente dall’oscurità, suggerendo sempre qualcosa di languido e di morboso. Il resto lo fa la colonna sonora, con brani classici quali possono essere certi estratti dell’opera lirica Macbeth musicata da Giuseppe Verdi, fatti duettare sapientemente (e in modo anche qui conturbante) con sonorità moderne, distorte, votate ad amplificare la dimensione stessa dell’incubo.